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Spetta ai giudici tributari il compenso fisso per l’attività svolta per lo stralcio dell’arretrato presso la Commissione Centrale Tributaria

A cura del dott. Francesco Fiore

La Corte d’Appello di Milano ha finalmente dato giustizia ai giudici.

La Corte, riformando la sentenza di primo grado che si era appiattita acriticamente sulle posizioni del Ministero, ha stabilito che l’unico vero parametro di riferimento per stabilire la retribuzione non è una sterile discettazione se il compenso sia o meno indennitario (ovvero corrispettivo) ma quello generale della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio.

Sussiste quindi il diritto dei giudici tributari appartenenti alle sezioni distaccate della commissione centrale di percepire il compenso fisso, in relazione al quale la pubblica amministrazione non ha alcun potere discrezionale di scelta, in quanto vincolata al richiamo all’art. 13 d.lgs. 545/1992.

Il MEF, prevedendo nel decreto del 4 marzo 2009 il divieto di cumulo, non si è limitato a decidere sul quantum, ma ha, di fatto, inciso sull’an debeatur dei componenti delle sezioni distaccate della commissione centrale tributaria e sul loro diritto a percepire il compenso fisso, riconosciuto dal legislatore, ex art. 1, comma 351, l. 244/2007, escludendolo, sostanzialmente, per tutti i componenti, atteso che essi, nella loro totalità, già lo percepiscono in quanto necessariamente componenti, allo stesso tempo, della commissione regionale tributaria (così la Corte).

Né il MEF può negare il compenso sulla base del fatto che i componenti della sezione distaccata della commissione centrale tributaria, sarebbero stati individuati attraverso il ricorso all’istituto dell’applicazione. Si ritiene, infatti, che anche il richiamo a tale istituto non impedisce il riconoscimento di un compenso fisso, atteso che il legislatore lo ha espressamente ritenuto applicabile anche al caso di specie, facendo riferimento a entrambi i commi di cui all’art. 13, d.lgs. 545/1992, non limitandosi a richiamare esclusivamente il comma 2, relativo al compenso variabile.

In conclusione spetta il compenso fisso, così come stabilito dall’art. 1, comma 354, l. 244/2007, in forza del richiamo all’art. 13 d.lgs. 545/1992 non essendovi una norma primaria che vieta il cumulo.

Tale diritto alla percezione di un compenso fisso, peraltro, oltre a trovare il proprio fondamento nel richiamo operato dall’art. 1, comma 354, l. 244/2007 all’art. 13 d.lgs. 545/1992, trova conferma nelle stesse premesse del decreto adottato dal MEF di cui sopra, laddove ha espressamente affermato di avere considerato la necessità di “attribuire ai componenti delle sezioni regionali della commissione tributaria centrale il medesimo trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni tributarie regionali” (doc. 1 del fascicolo di primo grado degli appellanti). È evidente che l’autorità amministrativa, nel prevedere, invece, il divieto di cumulo tra i compensi, ha, di fatto, creato una disparità di trattamento economico, negando a tutti soggetti delle sezioni distaccate della commissione centrale tributaria il diritto di percepire il compenso fisso, facendo essi necessariamente già parte della commissione regionale tributaria.

Attendiamo ora la Cassazione che – ci si augura – confermi presto la sentenza della Corte d’Appello e dia il via libero a tutti i giudici tributari applicati che – ancora una volta – ingiustamente trattati dal MEF.

Sentenza n. 4888/2015 pubbl. il 17/12/2015
Repert. n. 4618/2015 del 17/12/2015
N. R.G. 552/2015 a cui sono state riunire le cause N. R.G. 955/2015 e N. R.G. 956/2015

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE di APPELLO di MILANO
PRIMA SEZIONE CIVILE

La Corte, nella persona dei Signori:

dott. Amedeo SANTOSUOSSO Presidente

dott. Raimondo MESIANO Giudice

dott.ssa Elisa FAZZINI Giudice Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa promossa in grado d’appello iscritta al n. r.g. 552/2015, a cui sono state riunite le cause r.g. n. 955/2015 e r.g. n. 956/2015, e decisa nella camera di consiglio del 28 ottobre 2015

tra

  1. A. (C.F. OMISSIS), R. P. (C.F. OMISSIS), L. C. B. (C.F. OMISSIS), L. G. (C.F. OMISSIS), R. C. (C.F. OMISSIS), L. D. P. (C.F. OMISSIS), M. O. (C.F. OMISSIS), L. F. (C.F. OMISSIS), E. B. (C.F. OMISSIS), M. S. (C.F. OMISSIS), A. D’A. (C.F. OMISSIS), D. G. (C.F. OMISSIS), G. T. M. (C.F. OMISSIS), M. C. (C.F. OMISSIS), E. S. (C.F. OMISSIS), G. M. (C.F. OMISSIS), F. M. (C.F. OMISSIS), R. M. (C.F. OMISSIS), G. G. (C.F. OMISSIS), A. C. (C.F. OMISSIS), I. M. L. M. (C.F. OMISSIS), G. R. M. (C.F. OMISSIS), R. R. (C.F. OMISSIS), S. M. (C.F. OMISSIS), G. E. C. (C.F. OMISSIS), A. S. (C.F. OMISSIS), L. V. (C.F. OMISSIS), M. G. M. C. (C.F. OMISSIS), P. E. (C.F. OMISSIS), S. B. (C.F. OMISSIS), M. G. (C.F. OMISSIS), elettivamente domiciliati in MILANO, VIA SPARTACO, 23, presso lo studio dell’avv. MARCO LUIGI ANTONIOLI, che li rappresenta e difende per procure in calce agli atti di citazione in appello,

APPELLANTI

contro

MINISTRO P.T. MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (C.F. 80226730580), elettivamente domiciliato in MILANO, VIA FREGUGLIA, 1, presso l’AVVOCATURA di STATO MILANO, che lo rappresenta e difende per legge,

APPELLATO

CONCLUSIONI

Per A. G., B. S., B. E., B. L. C., C. A., C. R., C. M., C. M. G. M., C. G. E.; D’A. A., D. P. L., E. P., F. L., G. L., G. D., G. G., G. M., M. G. R., M. F., M. I. M. L., M. R., M. G., M. S. M., O. M., P. R., R. R., S. M., S. E., S. A., T. M. G., V. L.: “Si chiede che l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano:

– disattesa ogni contraria e/o diversa istanza, domanda, eccezione e deduzione;

– emesse tutte le più opportune pronunzie, condanne e/o declaratorie di legge o del caso;

1) richieda al MEF -solo occorrendo- gli eventuali chiarimenti e/o le informazioni più opportune sull’entità e/ o misura delle somme maturate a titolo di compenso fisso, a beneficio degli appellanti, ovvero sul loro periodo di permanenza presso la CTC -Sezione Lombardia, anche in relazione all’attestazione in atti rilasciata, il 3 febbraio 2015, dalla Segreteria dell’Ufficio;

2) riformi integralmente la sentenza resa, fra le parti, dal Tribunale di Milano e, per l’effetto, dichiari che la presente controversia, avente ad oggetto la cognizione del compenso fisso dovuto ai componenti addetti alle Sezioni distaccate della Commissione Tributaria Centrale (CTC), è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario;

3) accerti e/o dichiari il diritto degli attori a percepire il compenso fisso spettante ai magistrati tributari applicati alla Commissione Tributaria Centrale (CTC), con decorrenza dalla data di applicazione di ciascuno alla medesima, in misura corrispondente a quella prevista dall’art. 1, comma 1, del D.M. 7 aprile 2009 emanato dal MEF;

4) disapplichi e/o consideri tamquam non esset -solo occorrendo- il medesimo decreto, nella parte in cui, all’art. 1, comma 3, ha disconosciuto il diritto al compenso “fisso” dovuto ai componenti della CTR, applicati alla CTC, in violazione degli artt. 1, commi 351 e 354, Legge n. 244/2007, e 13 D. L.vo n. 545/1992, nonché per eccesso di potere;

5) condanni la parte convenuta al pagamento delle somme maturate periodicamente sino al 31 dicembre 2014, a favore di ciascun magistrato tributario, così come segue:

G. A. € 18.660,00
E. B. € 20.215,00
L. C. B. € 24.258,00
A. C. € 21.148,00
R. C. € 21.770,00
M. C. € 24.258,00
M. G. M. C. € 24.258,00
G. E. C. £ 23.947,00
A. D’A. € 24.258,00
L. D. P. € 24.258,00
P. E. € 24.258,00
L. F. € 24.258,00
L. G. € 15.239,00
D. G. € 26.623,00
G. G. € 24.258,00
I. M. L. M. € 26.623,00
G. R. M. € 24.258,00
F. M. € 21.148,00
R. M. € 26.833,00
G. M. € 24.258,00
S. M. M. € 24.258,00
M. O. € 24.258,00
R. P. € 21.158,00
R. R. € 21.148,00
M. S. € 24.258,00
E. S. € 26.623,00
A. S. € 7.751,00
G. T. M. € 17.727,00
L. V. € 24.258,00
S. B. € 15.239,00
M. G. € 15.239,00

 

ovvero in quella misura -maggiore o minore- che verrà determinata in corso di lite, dedotte le ritenute alla fonte, ai sensi di legge;

6) condanni, altresì, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) al riconoscimento sulle suddette somme degli interessi di legge (art. 1284, comma 1, c.c.), con effetto dalla maturazione del compenso fisso, su base mensile, ovvero -solo in subordine- dalla proposizione delle domande giudiziali;

7) sospenda -solamente in via subordinata-, il presente giudizio, con ordinanza, rimettendolo dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi e con gli effetti di cui all’art. 23 Legge 11 marzo 1953, n. 87, ove ritenga rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 D. L.vo n. 545/1992, richiamato dall’art. 1, comma 354, Legge n. 244/2007, nella parte in cui, in riferimento agli artt. 24, 97, 104, 106, 108, 111, 113 e 117 Cost., rimette ad una parte in causa la determinazione, mediante atto amministrativo, della entità dei compensi riconosciuti ai giudici tributari, in assenza di alcun (adeguato) parametro;

8) in ogni caso: oltre alla integrale rifusione delle spese di lite, in base al principio della soccombenza (art. 91, comma 1, c.p.c.) e di quello ed. di causalità, oltre ad IVA (22%) e CPA (4%), a favore degli attori”;

per il MINISTRO P.T. MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE: “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così giudicare:

  1. in via preliminare: previa idonea adozione di ogni opportuno provvedimento al riguardo, disporre che le cause d’appello proposte dal dott. Salvatore Barone ed dal dott. Maurizio Grigo, con atti d’appello notificati in data 9 marzo 2015 ed iscritti, rispettivamente al registro generale della Corte d’appello ai n. 955 e 956 dell’anno 2015 siano riunite alla causa recante il n. 552/2015 del Reg. gen. app., antecedentemente proposta dalla dott.ssa Giulia Aondio ed altri 28 degli originari attori, dichiarando, altresì che le statuizioni contenute nella sentenza del Tribunale di Milano n. 10435/2014 sono divenute irrevocabili nei confronti degli originari attori E. B., A. L. e G. V.;
  2. in via principale: respingere gli appelli proposti e, per l’effetto confermare la sentenza impugnata, dichiarando inammissibili le domande ex adverso proposte per difetto di giurisdizione del giudice adito, ovvero, comunque, dichiarate infondate, previa declaratoria di irrilevanza e/o manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata da controparte;
  3. in subordine: nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande ex adverso proposte, dichiarare che sugli importi eventualmente da corrispondere agli attori spettano ai medesimi esclusivamente gli interessi nella misura legale a decorrere dalla domanda giudiziale.
  4. In ogni caso: condannare gli appellanti al pagamento delle spese, competenze ed onorari di lite del presente grado di giudizio, ovvero, nella denegata ipotesi in cui dovesse essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della presente controversia, rimettere al giudice di rinvio la regolamentazione delle spese di giudizio della presente fase di giudizio o disporre in ogni caso la compensazione delle stesse”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26 agosto 2014 (n. 10435/2014), il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando nella causa n. 60801/2012 RG, promossa dagli odierni appellanti contro il Ministero, ha così statuito: “dichiara il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della giurisdizione del giudice amministrativo. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite”.

Lo svolgimento del processo di primo grado può essere così sintetizzato.

Con atto di citazione ritualmente notificato, gli odierni appellanti convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Milano il Ministero dell’economia e delle finanze, chiedendo di accertare e determinare il diritto degli attori a percepire il compenso “fisso” spettante ai componenti applicati alla commissione tributaria centrale, con decorrenza del 1 maggio 2008, nonché di condannare il Ministero al predetto pagamento, con vittoria di spese. A fondamento della propria domanda gli attori deducevano: che erano tutti componenti delle commissioni tributarie regionali e applicati alla commissione tributaria centrale; che l’art. 13 del d.lgs. 545/1992 attribuiva ai componenti delle commissioni tributarie (regionali e provinciali) due distinti compensi, determinati dal Ministero dell’economia e delle finanze, uno fisso, erogato mensilmente, e uno aggiuntivo, determinato “per ogni ricorso definito”; che, con decreto del 4 marzo 2009, il Ministero convenuto aveva previsto che ai componenti delle commissioni tributarie regionali, applicati anche alla commissione centrale, spettasse il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo tra compensi stabiliti per i rispettivi incarichi; che i giudici addetti alle commissioni tributarie regionali, quando erano applicati alla commissione centrale, percepivano solo il compenso variabile e non quello fisso; che il D.M. 7.4.2009 era affetto da eccesso di potere e conteneva, altresì, previsioni illogiche e irragionevoli tali da giustificare la disapplicazione, nella parte censurata, da parte del giudice ordinario; che il citato art. 13 l. 545/1992 era, altresì, costituzionalmente illegittimo per contrarietà con il disposto degli artt. 97, 108 e 111 Cost..

Il Ministero dell’economia e delle finanze si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande svolte.

Il Tribunale, istruita la causa, fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 16 aprile 2014, all’esito della quale tratteneva la causa in decisione, concedendo termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

La sentenza del Tribunale di Milano, che ha deciso nei termini di cui sopra, è stata impugnata da A. G., B. S., B. E., B. L. C., C. A., C. R., C. M., C. M. G. M., C. G. E., D’A. A., D. P. L., E. P., F. L., G. L., G. D., G. G., G. M., M. G. R., M. F., M. I. M. L., M. R., M. G., M. S. M., O. M., P. R., R. R., S. M., S. E., S. A., T. M. G., V. L. con atti di appello, con i quali gli appellanti hanno chiesto la riforma della sentenza, sulla base dei seguenti motivi:

  1. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 24, 36, 103, 106, 108 E 113 COST., ART. 7 C.P.C. E ART. 5 L. 2248/1865 ALL. E), NONCHÉ DEI PRINCIPI CHE PRESIEDONO IL RIPARTO FRA LA GIURISDIZIONE ORDINARIA E QUELLA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO – MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E GRAVEMENTE CONTRADDITTORIA IN PUNTO GIURISDIZIONE – MAGISTRATURA ONORARIA E NATURA INDENNITARIA DELLA PRESTAZIONE DOVUTA: EFFETTI E CONSEGUENTE TITOLARITÀ A UN DIRITTO DI CREDITO AZIONABILE DINANZI ALL’A.G.O.;
  2. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 24, 103 E 113 COST., ART. 7 C.P.C. E ART. 5 L. 2248/1865 ALL. E) E DELL’ART. 21 SEPTIES L. 241/1990, NONCHÉ DEI PRINCIPI CHE PRESIEDONO IL RIPARTO FRA LA GIURISDIZIONE ORDINARIA E QUELLA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO- MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E GRAVEMENTE CONTRADDITTORIA- CARENZA DI POTERE DI SPETTANZA DEI COMPENSI PREVISTI DALLA LEGGE – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ E DELLA TIPICITÀ DEI POTERI AUTORITATIVI – NATURA VINCOLATA – E NON DISCREZIONALE – DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA IN PUNTO DI EROGAZIONE DEI COMPENSI – CONSISTENZA DI DIRITTI SOGGETTIVI DEI CREDITI FATTI VALERE IN GIUDIZIO – OMESSA DISAPPLICAZIONE DEL D.M. DEL 4 MARZO 2009;
  3. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 24, 103 E 113 COST., ART. 5 E 37 C.P.C., DELL’ART. 3 L. N. 350/2003, NONCHÉ DEI PRINCIPI CHE PRESIEDONO IL RIPARTO FRA LE GIURISDIZIONI – CONSISTENZA DI DIRITTI SOGGETTIVI DEI CREDITI FATTI VALERE IN GIUDIZIO – ANCORA, IRRILEVANZA, IN PUNTO DI GIURISDIZIONE, DELLA NATURA ONORARIA DELLA MAGISTRATURA TRIBUTARIA – MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E GRAVEMENTE CONTRADDITTORIA – TRAVISAMENTO DEL CONTENUTO DELLA SENTENZA N. 21592/2013 DELLE SS.UU.;
  4. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 1, COMMI 351 E 354, LEGGE N. 244/2007, NONCHÉ DELL’ART. 13 D.LGS. N. 245/1992 – CARENZA DI POTERE, DIFETTO ASSOLUTO DI ATTRIBUZIONI E NULLITÀ, EX ART. 21 SEPTIES LEGGE N. 241/1990, IN PARTE QUA, DEL D.M. 7 APRILE 2009 – TRAVISAMENTO, IRRAGIONEVOLEZZA, ILLOGICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, INGIUSTIZIA MANIFESTA – DISPARITÀ DI TRATTAMENTO – DISAPPLICAZIONE, EX ART. 5 L. N. 2248/1865 ALL. E), SOLO OCCORRENDO, DEL CITATO D.M., IN QUANTO ILLEGITTIMO PER VIOLAZIONE DI LEGGE ED ECCESSO DI POTERE;
  5. SOLAMENTE IN SUBORDINE: RILEVANZA E NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ DEGLI ARTT. 13 D.LGS. N. 545/1992, ART. 1 COMMA 354, LEGGE N. 244/2007, PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 24, 97, 104, 106, 108, 111, 113 E 117 COST., IN PUNTO DI DETERMINAZIONE DA PARTE DEL MEF DEI COMPENSI DOVUTI AI COMPONENTI DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE.

Il Ministero, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’appello.

La Corte, previa riunione alla causa RG 552/2015 delle cause RG nn. 955/2015 e 956/2016), essendo esse avverse alla medesima sentenza, ha fissato per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 22 luglio 2015, all’esito della quale ha trattenuto la causa in decisione, previa concessione di termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

La causa è stata decisa nella camera di consiglio del 28 ottobre 2015.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I punti sui quali la Corte è chiamata a decidere sono i seguenti:

  1. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 24, 36, 103, 106, 108 E 113 COST., ART. 7 C.P.C. E ART. 5 L. 2248/1865 ALL. E), NONCHÉ DEI PRINCIPI CHE PRESIEDONO IL RIPARTO FRA LA GIURISDIZIONE ORDINARIA E QUELLA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO – MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E GRAVEMENTE CONTRADDITTORIA IN PUNTO GIURISDIZIONE – MAGISTRATURA ONORARIA E NATURA INDENNITARIA DELLA PRESTAZIONE DOVUTA: EFFETTI E CONSEGUENTE TITOLARITÀ A UN DIRITTO DI CREDITO AZIONABILE DINANZI ALL’A.G.O.;
  2. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 24, 103 E 113 COST., ART. 7 C.P.C. E ART. 5 L. 2248/1865 ALL. E) E DELL’ART. 21 SEPTIES L. 241/1990, NONCHÉ DEI PRINCIPI CHE PRESIEDONO IL RIPARTO FRA LA GIURISDIZIONE ORDINARIA E QUELLA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO- MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E GRAVEMENTE CONTRADDITTORIA- CARENZA DI POTERE IN PUNTO DI SPETTANZA DEI COMPENSI PREVISTI DALLA LEGGE – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ E DELLA TIPICITÀ DEI POTERI AUTORITATIVI – NATURA VINCOLATA – E NON DISCREZIONALE – DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA IN PUNTO DI EROGAZIONE DEI COMPENSI – CONSISTENZA DI DIRITTI SOGGETTIVI DEI CREDITI FATTI VALERE IN GIUDIZIO – OMESSA DISAPPLICAZIONE DEL D.M. DEL 4 MARZO 2009;
  3. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 24, 103 E 113 COST., ART. 5 E 37 C.P.C., DELL’ART. 3 L. N. 350/2003, NONCHÉ DEI PRINCIPI CHE PRESIEDONO IL RIPARTO FRA LE GIURISDIZIONI – CONSISTENZA DI DIRITTI SOGGETTIVI DEI CREDITI FATTI VALERE IN GIUDIZIO – ANCORA, IRRILEVANZA, IN PUNTO DI GIURISDIZIONE, DELLA NATURA ONORARIA DELLA MAGISTRATURA TRIBUTARIA – MOTIVAZIONE INSUFFICIENTE E GRAVEMENTE CONTRADDITTORIA – TRAVISAMENTO DEL CONTENUTO DELLA SENTENZA N. 21592/2013 DELLE SS.UU.;
  4. VIOLAZIONE (PER FALSA APPLICAZIONE) DEGLI ARTT. 1, COMMI 351 E 354, LEGGE N. 244/2007, NONCHÉ DELL’ART. 13 D.LGS. N. 245/1992 – CARENZA DI POTERE, DIFETTO ASSOLUTO DI ATTRIBUZIONI E NULLITÀ, EX ART. 21 SEPTIES LEGGE N. 241/1990, IN PARTE QUA, DEL D.M. 7 APRILE 2009 – TRAVISAMENTO, IRRAGIONEVOLEZZA, ILLOGICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, INGIUSTIZIA MANIFESTA – DISPARITÀ DI TRATTAMENTO – DISAPPLICAZIONE, EX ART. 5 L. N. 2248/1865 ALL. E), SOLO OCCORRENDO, DEL CITATO D.M., IN QUANTO ILLEGITTIMO PER VIOLAZIONE DI LEGGE ED ECCESSO DI POTERE;
  5. SOLAMENTE IN SUBORDINE: RILEVANZA E NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ DEGLI ARTT. 13 D.LGS. N. 545/1992, ART. 1 COMMA 354, LEGGE N. 244/2007, PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 24, 97, 104, 106, 108, 111, 113 E 117 COST., IN PUNTO DI DETERMINAZIONE DA PARTE DEL MEF DEI COMPENSI DOVUTI AI COMPONENTI DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE.

In via preliminare deve essere dato che E. B., A. L. e G. V., attori nel giudizio di primo grado, non hanno impugnato la sentenza oggetto di causa, con la conseguenza che nei loro confronti deve ritenersi formato il giudicato.

Ciò premesso, oggetto dell’appello è quella parte della sentenza in cui il Tribunale ha ritenuto che la fattispecie in questione non rientri nella giurisdizione del giudice ordinario, appartenendo a quella del giudice amministrativo.

Secondo gli appellanti tale decisione sarebbe errata, avendo il Tribunale non correttamente ritenuto che i crediti nascenti dal rapporto di lavoro prestato presso le sezioni distaccate della commissione centrale tributaria configurino in capo ai componenti applicati dei meri interessi legittimi e non dei veri e propri diritti soggetti, la cui cognizione appartiene al giudice ordinario, in forza della natura onoraria del rapporto. In particolare, non sarebbe condivisibile la decisione del Giudice di primo grado di ritenere sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, avendo la causa a oggetto un potere discrezionale della pubblica amministrazione, in quanto, a parere degli appellanti, la natura discrezionale della pubblica amministrazione riguarderebbe esclusivamente la quantificazione dei compensi e non, come nel caso di specie, la spettanza di essi, rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario.

Tale motivo è fondato.

Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie, è, innanzitutto, necessario analizzare le leggi che disciplinano la materia oggetto di causa concernente il diritto dei componenti delle sezioni distaccate della commissione centrale tributaria, scelti, a seguito di un’applicazione, fra quelli appartenenti alla commissione regionale, a percepire un compenso fisso e variabile per il lavoro svolto.

L’art. 1, comma 351, l. 244/2007, nell’ottica di procedere a una riduzione del numero delle sezioni della commissione centrale tributaria, con sede a Roma, ha, infatti, istituto nuove sedi nel capoluogo di ogni regione, prevedendo che in tali sezioni distaccate fossero applicati come componenti “i presidenti di sezione, i vicepresidenti di sezione e i componenti delle commissioni tributarie regionali istituite nelle stessi sedi”, stabilendo, al comma 354, per quanto concerne il trattamento economico, che i compensi “sono determinati esclusivamente a norma dell’art. 13 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, facendo riferimento ai compensi spettanti ai presidenti di sezione e ai componenti delle commissioni tributarie regionali”. Tale norma, da ultimo richiamata, prevede che ai componenti degli organi del contenzioso tributario spettano due compensi, determinati dal Ministero dell’economia e delle finanze (c.d. MEF): quello fisso, erogato mensilmente, e quello aggiuntivo, determinato per ogni ricorso definito, il quale tiene conto sia delle funzioni svolte, sia dell’apporto all’attività prestata da ciascun giudice alla trattazione della controversia, compresa la redazione della sentenza. Il terzo comma, infine, prevede che “la liquidazione dei compensi è disposta dalla direzione regionale delle entrate, nella cui circoscrizione ha sede la commissione tributaria di appartenenza ed i pagamenti relativi sono fatti dal dirigente responsabile della segreteria della commissione, quale funzionario delegato cui sono accreditati i fondi necessari”.

In forza di tale ultimo richiamo, il MEF, all’art. 1, comma 1, del decreto del 4 marzo 2009, ha previsto, in relazione al compenso fisso, che esso spetti “a decorrere dal 1 maggio 2008 e fino al 31 dicembre 2009, a ciascun componente della commissione tributaria centrale, […] determinato nella misura di a) euro 415,00 per il presidente della commissione tributaria centrale; b) euro 363,00 per il presidente della sezione; c) euro 363,00 per il presidente della sezione regionale, come individuato ai sensi     dell’articolo 1, comma 2, del decreto ministeriale in data 20 marzo 2008; d) euro 337,00 per il presidente del collegio, come individuato ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale in data 20 marzo 2008; e) euro 311,00 per il componente della sezione regionale’, stabilendo, al terzo comma, che ai componenti delle commissioni tributarie regionali e quelle di secondo grado di Trento e Bolzano, applicati anche alla sezione della commissione tributaria centrale, spetta il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo tra i compensi stabiliti per i rispettivi incarichi (doc. 1 del fascicolo di primo grado degli appellanti).

Ciò premesso in ordine all’inquadramento normativo della fattispecie, è necessario rilevare che non è condivisibile la decisione del Tribunale di ritenere che, nel caso di specie, la giurisdizione spetti al giudice amministrativo, sulla base del fatto che: “Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità il trattamento economico dei funzionari onorari ha, di regola, natura indennitaria e non retributiva, con esclusione di qualsiasi nesso di sinallagmaticità, e resta, quindi, affidato alle determinazioni discrezionali dell’autorità che ha proceduto alla nomina, a fronte delle quali il funzionario ha una posizione di mero interesse legittimo; fanno eccezione alla regola soltanto i casi in cui specifiche disposizioni di legge attribuiscono natura retributiva al compenso spettante, il quale discende direttamente dalla legge, con conseguente sua determinazione automatica (Cass. Sez. un., nn. 11272 del 1998, 1961 del 2005, 18618 del 2008, 1631 del 2010, 14954 del 2011)”.

Si osserva, infatti, che anche alla luce delle pronunce da ultimo richiamate dallo stesso Tribunale, l’unico vero parametro di riferimento, che deve essere seguito ai fini della individuazione della giurisdizione, è rappresentato esclusivamente, a prescindere dalla natura indennitaria e/o corrispettiva del trattamento economico, da quello generale della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio.

Si ritiene, infatti, conformemente a quanto statuito dalla Suprema Corte, che la giurisdizione appartenga al giudice ordinario quando l’interessato faccia valere il diritto a conseguire un’indennità predeterminata dalla legge (cfr. Cass. SS.UU. 11272/1998), mentre spetti al giudice amministrativo quando la controversia verta sulla richiesta di emolumenti che non discendono direttamente dalla legge, ma da una determinazione discrezionale della pubblica amministrazione (Cass. SS.UU. 14954/2011).

Applicando tali principi alla fattispecie in questione, si osserva che, nel caso di specie, non si controverte, contrariamente da quanto sostenuto dall’amministrazione appellata, sull’entità del compenso dovuto, la cui determinazione è pacificamente rimessa alla pubblica amministrazione, ma sul diritto dei giudici tributari appartenenti alle sezioni distaccate della commissione centrale di percepire il compenso fisso, in relazione al quale la pubblica amministrazione non ha alcun potere discrezionale di scelta, in quanto vincolata al richiamo all’art. 13 d.lgs. 545/1992. Il MEF, prevedendo nel decreto del 4 marzo 2009 il divieto di cumulo, non si è limitato a decidere sul quantum, ma ha, di fatto, inciso sull’an debeatur dei componenti delle sezioni distaccate della commissione centrale tributaria e sul loro diritto a percepire il compenso fisso, riconosciuto dal legislatore, ex art. 1, comma 351, l. 244/2007, escludendolo, sostanzialmente, per tutti i componenti, atteso che essi, nella loro totalità, già lo percepiscono in quanto necessariamente componenti, allo stesso tempo, della commissione regionale tributaria.

Sul punto non assume alcuna rilevanza il richiamo alla massima della pronuncia n. 21592, emessa dalla Sezioni Unite della Suprema Corte in data 20 settembre 2013, la quale prevede che “In tema di riparto della giurisdizione, la controversia avente ad oggetto la scelta dei criteri per la determinazione del compenso, fisso o aggiuntivo, spettante ai componenti delle commissioni tributarie per l’attività svolta, appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo trattandosi di emolumenti di natura indennitaria, la cui determinazione non è automatica ma resta affidata al potere discrezionale dell’autorità che ha proceduto alla nomina dei componenti medesimi, il cui esercizio deve avvenire a parametri correlati alla qualità, quantità e complessità del lavoro svolto ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545”, atteso che, nella fattispecie in questione, differentemente da quella sottoposta all’attenzione dei Giudici di legittimità, la controversia non ha a oggetto i criteri per la determinazione del compenso fisso o variabile, ma il diritto proprio al compenso fisso, riconosciuto dal legislatore ma negato, di fatto, dall’autorità amministrativa.

Non rileva, infine, la circostanza dedotta dal Ministero solo in appello, circa il fatto che il compenso fisso non sarebbe dovuto, atteso che i componenti della sezione distaccata della commissione centrale tributaria, sarebbero stati individuati attraverso il ricorso all’istituto dell’applicazione. Si ritiene, infatti, che anche il richiamo a tale istituto non impedisce il riconoscimento di un compenso fisso, atteso che il legislatore lo ha espressamente ritenuto applicabile anche al caso di specie, facendo riferimento a entrambi i commi di cui all’art. 13, d.lgs. 545/1992, non limitandosi a richiamare esclusivamente         il comma 2, relativo al compenso variabile.

Attribuita la giurisdizione, nel caso di specie, al giudice ordinario, è, quindi, necessario analizzare l’an e il quantum della pretesa azionata.

In relazione all’an, si deve riconoscere in capo ai giudici componenti della commissione centrale il diritto al compenso fisso, così come stabilito dall’art. 1, comma 354, l. 244/2007, in forza del richiamo all’art. 13 d.lgs. 545/1992.

Nessuna rilevanza assume al riguardo la disposizione di cui all’art. 1, comma 2, del decreto adottato dal MEF in data 4 marzo 2009, dovendo essa essere necessariamente disapplicata, ex art. 5 l. 2248/1865, all. E, essendo stata adottata dalla pubblica amministrazione in maniera illegittima, oltre al potere conferitole dall’art. 1, comma 354, l. 244/2007, il quale, in forza del richiamo all’art. 13 d.lgs. 545/1992, ha riconosciuto ai giudici componenti delle sezioni distaccate della commissione centrale tributaria il diritto di percepire un compenso fisso, attribuendo all’autorità amministrativa solo il potere di stabilire il quantum del compenso dovuto.

Tale diritto alla percezione di un compenso fisso, peraltro, oltre a trovare il proprio fondamento nel richiamo operato dall’art. 1, comma 354, l. 244/2007 all’art. 13 d.lgs. 545/1992, trova conferma nelle stesse premesse del decreto adottato dal MEF di cui sopra, laddove ha espressamente affermato di avere considerato la necessità di “attribuire ai componenti delle sezioni regionali della commissione tributaria centrale il medesimo trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni tributarie regionali” (doc. 1 del fascicolo di primo grado degli appellanti). È evidente che l’autorità amministrativa, nel prevedere, invece, il divieto di cumulo tra i compensi, ha, di fatto, creato una disparità di trattamento economico, negando a tutti soggetti delle sezioni distaccate della commissione centrale tributaria il diritto di percepire il compenso fisso, facendo essi necessariamente già parte della commissione regionale tributaria.

Si osserva, peraltro, che la mancata applicazione del compenso fisso, stante il divieto di cumulo, ai componenti della sezione distaccata della commissione centrale tributaria è ingiustificata, atteso che si tratta di uffici del tutto autonomi, i quali devono dare luogo al diritto al pagamento ciascuno di un compenso fisso, legato di fatto alla titolarità dell’ufficio, potendo accadere che un medesimo componente possa assentarsi, per un certo periodo, da un ufficio e non da un altro. Si tratta, dunque, di un compenso distinto, comunque, dovuto per legge, il quale trova il suo unico presupposto nell’attività svolta dai componenti presso la commissione centrale tributaria.

In relazione al quantum, appare congruo riconoscere la somma richiesta dai singoli componenti, in mancanza di una tempestiva contestazione di controparte, calcolata alla luce del decreto MEF del 4 novembre 2009.

Pertanto, il Ministero dell’economia e delle finanze è tenuto a pagare a G. A. la somma di € 18.660,0, a E. B. la somma di € 20.215,00, a L. C. B. la somma di € 24.258,00, a A. C. la somma di €21.148,00, a R. C. la somma di € 21.770,00, a M. C. la somma di € 24.258,00, a M. G. M. C. la somma di € 24.258,00, a G. E. C. la somma di € 23.947,00, a A. D’A. la somma di € 24.258,00, a L. D. P. la somma di € 24.258,00, a P. E. la somma di € 24.258,00, a L. F. la somma di € 24.258,00, a L. G. la somma di € 15.239,00, a D. G. la somma di € 26.623,00, a G. G. la somma di € 24.258,00, a I. M. L. M. la somma di € 26.623,00, a G. R. M. la somma di € 24.258,00, a F. M. la somma di € 21.148,00, a R. M. la somma di € 26.833,00, a G. M. la somma di € 24.258,00, a S. M. M. la somma di € 24.258,00, a M. O. la somma di € 24.258,00, a R. P. la somma di € 21.158,00, a R. R. la somma di € 21.148,00, a M. S. la somma di € 24.258,00, a E. S. la somma di € 26.623,00, a A. S. la somma di € 7.751,00, a G. T. M. la somma di € 17.727,00, a L. V. la somma di € 24.258,00, a S. B. la somma di € 15.239,00 e, infine, a M. G. la somma di € 15.239,00.

Da tali somma dovranno essere dedotte le ritenute di fonte, ai sensi di legge.

Sugli importi così determinati sono dovuti gli interessi di legge dalla preposizione delle domande al saldo effettivo.

Ritenuto assorbito e in ogni caso rigettato ogni altro motivo d’appello, la sentenza n. 10435/2014, emessa dal Tribunale di Milano e depositata il 26 agosto 2014, deve essere riformata, nei termini di cui al dispositivo e per i motivi di cui sopra.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della domanda proposta e delle cause a essa riunite, ex art. 4, comma 2, D.M. 55/2014.

In mancanza di una specifica richiesta di riforma del capo della sentenza di primo grado in ordine alle spese di lite, resta ferma la statuizione del Tribunale sul punto, che le ha ritenute integralmente compensate.

PQM

La Corte, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti da A. G., B. S., B. E., B. L. C., C. A., C. R., C. M., C. M. G. M., C. G. E., D’A. A., D. P. L., E. P., F. L., G. L., G. D., G. G., G. M., M. G. R., M. F., M. I. M. L., M. R., M. G., M. S. M., O. M., P. R., R. R., S. M., S. E., S. A., T. M. G., V. L., avverso alla sentenza n. 10435/2014, emessa dal Tribunale di Milano e depositata il 26 agosto 2014, nei confronti di Ministero dell’economia e delle finanze, così statuisce:

  1. accoglie l’appello e, per l’effetto, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze a pagare a G. A. la somma di € 18.660,00, a E. B. la somma di € 20.215,00, a L. C. B. la somma di € 24.258,00, a A. C. la somma di €21.148,00, a R. C. la somma di € 21.770,00, a M. C. la somma di € 24.258,00, a M. G. M. C. la somma di € 24.258,00, a G. E. C. la somma di € 23.947,00, a A. D’A. la somma di € 24.258,00, a L. D. P. la somma di € 24.258,00, a P. E. la somma di € 24.258,00, a L. F. la somma di € 24.258,00, a L. G. la somma di € 15.239.0, a D. G. la somma di € 26.623,00, a G. G. la somma di € 24.258.0, a I. M. L. M. la somma di € 26.623,00, a G. R. M. la somma di € 24.258,00, a F. M. la somma di € 21.148,00, a R. M. la somma di € 26.833,00, a G. M. la somma di € 24.258,00, a S. M. M. la somma di € 24.258,00, a M. O. la somma di € 24.258,00, a R. P. la somma di € 21.158.0, a R. R. la somma di € 21.148,00, a M. S. la somma di € 24.258.0, a E. S. la somma di € 26.623,00, a A. S. la somma di € 7.751,00, a G. T. M. la somma di € 17.727,00, a L. V. la somma di € 24.258,00, a S. B. la somma di € 15.239,00 e, infine, a M. G. la somma di € 15.239,00;
  2. condanna il Ministero dell’economia e delle finanze a pagare a A. G., B. S., B. E., B. L. C., C. A., C. R., C. M., C. M. G. M., C. G. E., D’A. A., D. P. L., E. P., F. L., G. L., G. D., G. G., G. M., M. G. R., M. F., M. I. M. L., M. R., M. G., M. S. M., O. M., P. R., R. R., S. M., S. E., S. A., T. M. G., V. L. le spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 19.350,00 per competenze del difensore, oltre spese generali determinate nella misura del 15%, ex art. 2 DM 55/2014, IVA e CPA come per legge;
  3. conferma per il resto l’impugnata sentenza.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 28 ottobre 2015.

 


 

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