Regolamenti comunali a tutela dei diritti degli animali – Sentenza n. 6317 del 27 settembre 2004
Ente Giudicante: Consiglio di Stato sez. V
Procedimento: Sentenza n. 6317 del 27 settembre 2004
REGOLAMENTI COMUNALI A TUTELA DEI DIRITTI DEGLI ANIMALI
Il regolamento adottato dal Comune in materia di tutela dei diritti degli animali è legittimo anche in assenza di un’espressa previsione legislativa in quanto espressione della potestà normativa di carattere generale dell’ente locale territoriale.
Tale regolamento deve ritenersi legittimo nella parte in cui sancisce il divieto di utilizzo di animali come omaggi o premi, fatta eccezione delle iniziative promosse dalle associazioni ambientalistiche a scopo di adozione. È quanto ha stabilito Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza n. 6317 del 27 settembre 2004, relativa all’impugnazione di una delibera comunale di adozione del regolamento sui diritti degli animali.
Il predetto regolamento comunale era stato impugnato da un’esercente un’attività di spettacolo viaggiante dinanzi al Tar della Toscana nella parte in cui faceva divieto di offrire animali in premio, vincita oppure in omaggio su tutto il territorio comunale.
Il Tar rigettava il ricorso, ritenendolo infondato e successivamente il Consiglio di Stato con sentenza n. 6317/2004, ha confermato la sentenza gravata.
Nei regolamenti comunali che tutelano i diritti degli animali sono contenuti molteplici disposizioni finalizzate non solo alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente (ad es. obbligo di raccolta degli escrementi), ma soprattutto al rispetto e alla difesa degli animali da ogni forma di maltrattamento (ad es. disciplina delle dimensioni di gabbie ed acquari).
Con la sentenza in esame viene innanzitutto in rilievo il fatto di essere la prima che interviene in materia ed affronta, oltre ai profili sostanziali, anche quelli di ordine processuale legati all’adozione di questi regolamenti.
Deve pertanto ritenersi che il regolamento comunale che pone il divieto di utilizzare gli animali come premio o omaggio, non necessitando di alcun provvedimento attuativo, abbia incidenza effettuale diretta e concreta sulla sfera giuridica di tutti i soggetti diversi dalle associazioni ambientalistiche o animalistiche e sia quindi suscettibile di autonoma impugnazione.
I regolamenti sui diritti degli animali pongono anche problemi di raccordo con la normativa nazionale e regionale in tema di tutela degli animali, soprattutto in relazione al fondamento del potere normativo dell’ente locale in materia.
Con la sentenza in commento, il Collegio di secondo grado ha ritenuto che il regolamento adottato dal Comune non presentasse alcun profilo di illegittimità né tanto meno di nullità per carenza di potere.
La decisione sul punto è sicuramente condivisibile.
Prima dell’entrata in vigore della legge n. 142/90, recante norme in materia di ordinamento degli enti locali, l’opinione prevalente era nel senso di ritenere che la normativa regolamentare necessitasse, per poter essere emanata, di un’espressa autorizzazione contenuta in una norma di rango superiore. Il quadro normativo muta con l’adozione dell’art. 5 della legge n. 142/90, che assegna all’ente locale una potestà regolamentare la cui latitudine è ben più ampia dei soli regolamenti per l’organizzazione ed il funzionamento delle istituzioni e degli uffici. Si va verso una potestà regolamentare generale degli enti locali che è affermata dall’art. 7 del D.Lgs n. 267/2000 (T.U.E.L.) che prevede che Province e Comuni «adottano regolamenti nelle materie di propria competenza», nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto. È evidente come tale dizione vada nel senso di una maggiore autonomia normativa degli enti locali. In tale ottica, quindi, l’elencazione di cui all’art. 7 del citato decreto, lungi dall’essere tassativa, acquista una valenza meramente esemplificativa. Come giustamente rilevato dal Consiglio di Stato, la potestà regolamentare del Comune ha ormai trovato fondamento costituzionale nella nuova formulazione dell’art. 117 Costituzione, così come modificato dalla legge costituzione n. 3/2001, che al comma 6, prevede che gli enti locali hanno potestà regolamentare «in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite».
Non v’è motivo alcuno, quindi, per ritenere illegittimi i regolamenti per la difesa dei diritti degli animali, il cui limite della potestà regolamentare del Comune è rappresentato dai principi fissati dalla legge nazionale e regionale e dallo Statuto.
Si ritiene che oggetto della tutela non sarebbe tanto l’animale con le sue sofferenze, ma il sentimento di pietà che l’uomo prova verso gli animali e che verrebbe offeso da forme di crudeltà verso gli stessi.
Con particolare riguardo alla disciplina penalistica in tema di maltrattamento degli animali, si affermava, che la ragione dell’incriminazione avrebbe dovuto ricercarsi nella ripugnanza che gli atti di crudeltà destano nella comunità dei consociati. Secondo questo orientamento, tali atti «contrasterebbero con la gentilezza dei costumi e, se tollerati, costituirebbero una scuola di morale insensibilità alle altrui sofferenze” (Cass. penale n. 156343/1982). Secondo un più recente e condivisibile orientamento, fatto proprio dal Consiglio di Stato con la decisione in commento, deve più correttamente ritenersi che l’interesse perseguito dalla normativa sia salvaguardare gli animali da ogni forma di dolore e maltrattamento, in quanto autonomi esseri viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore causato dalla mancanza di attenzione e dall’abbandono così come alle premurose cure dell’uomo (Cass. penale n. 11056/2000). Tale interpretazione è da preferirsi anche perché maggiormente rispondente all’evoluzione dei costumi ed alle istanze sociali in tema animalistico.
Che sia questo interesse ad essere ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico è confermato da altre disposizioni normative. Il D.Lgs n. 116/1992 che limita l’impiego degli animali utilizzati per fini sperimentali ai soli casi in cui sia accertata l’impossibilità di seguire metodi alternativi (Cass. civile n. 10857/03). Vengono poi in rilievo le numerose norme dirette a promuovere la tutela degli animali di affezione ed a condannare il loro abbandono e gli atti di crudeltà verso gli stessi. Sotto questo profilo, va segnalata la legge n. 281/1991 c.d. “legge quadro in materia di animali d’affezione e prevenzione del randagismo”, recepita da ciascuna regione con una legge regionale. Tali norme, spesso richiamate dai regolamenti comunali in materia, oltre a promuovere l’educazione al rispetto degli animali, condannano ogni forma di maltrattamento inteso non solo come atti di sevizie e di crudeltà, ma anche come tutti quegli atti di incuria ed abbandono che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali. In quest’ottica si segnala pure la recentissima legge n. 189/2004, recante modifiche al codice penale, che ha sanzionato penalmente anche l’abbandono degli animali.
Pertanto, il predetto regolamento comunale impugnato è pienamente rispettoso delle finalità della disciplina normativa sulla tutela degli animali, in quanto diretto a prevenire l’abbandono.
Il divieto di utilizzo di animali come omaggi o premi, imposto giustamente dal predetto regolamento, fatta eccezione per le iniziative promosse dalle associazioni ambientalistiche a scopo di adozione, risponde proprio all’esigenza di evitare che vengano abbandonati gli animali acquistati non in base a una scelta consapevole e meditata, ma per effetto di una vincita occasionale, come nel caso di giochi il cui premio è costituito da animali, la vincita determina un’acquisizione della disponibilità dell’animale che, non essendo stata valutata adeguatamente, potrebbe causare proprio l’incuria e l’abbandono che l’ordinamento intende evitare.
Invero, nel caso di iniziative a scopo di adozione la dazione dell’animale è oggetto immediato e diretto del consenso delle parti: donante e donatario accettante.
Commento a cura di Irene Faso
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 27 settembre 2004, Sentenza n. 6317
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 2003 ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello nr. 5759/2003 R.G., proposto dalla Signora Roberta Selmi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Michele Lioi e Paolo Sanchini, ed elettivamente domiciliata nello studio del primo in Roma, Via Otranto n. 18;
CONTRO
Il Comune di Prato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Teresa Barbantini, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Roma, Via Giulio Cesare n. 14;
per l’annullamento e la riforma della sentenza del T.A.R. della Toscana, Sez. I, n. 959/2003 depositata in data 17 marzo 2003.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della parte appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2004, relatore il consigliere Michele Corradino;
Uditi gli avvocati Sanchini e Mazzocco per delega dell’avv. Barbantini come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con la gravata sentenza il TAR della Toscana ha rigettato il ricorso proposto dalla Sig.ra Roberta Selmi, esercente attività di spettacolo viaggiante, avverso il disposto ex art. 16 del “Regolamento comunale sui diritti degli animali” del Comune di Prato adottato con delibera n. 34/2001 nella parte in cui fa divieto di offrire animali in premio, vincita oppure omaggio su tutto il territorio comunale (con salvezza delle iniziative a scopo di adozione promosse da associazioni ambientaliste o animaliste iscritte). Per esigenze di completezza va precisato che con ricorso per motivi aggiunti l’odierna appellante gravò altresì la nota del Comune di Prato del 18 giugno 2001 con cui veniva ribadito il divieto ex art. 16 del regolamento.
La sentenza è stata appellata dalla Sig.ra Roberta Selmi che contrasta le argomentazioni del TAR della Toscana.
Il Comune di Prato si è costituito per resistere all’appello.
Con ordinanza n. 3242 del 29 luglio 2003, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare sospendendo l’efficacia della gravata sentenza.
Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2004, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e conseguentemente va confermata la pronuncia gravata.
1. Il Collegio ritiene opportuno, in via preliminare, operare una breve ricognizione della disciplina giuridica che il nostro ordinamento appresta in materia di animali, onde individuare l’oggetto della relativa tutela.
In tal senso, si ricordi il recente D.Lgs. n. 116 del 1992, in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici, interpretato nel senso che <<deve escludersi che sia configurarbile una categoria di “interventi didattici” (nella specie, consistenti in una operazione effettuata su di un animale, per dimostrare le modalità di una nuova tecnica chirurgica) sottratti alla regolamentazione stabilita da detto decreto legislativo, in quanto essi devono ritenersi assoggettati ad una disciplina specifica e restrittiva, in coerenza con le opportunità offerte dallo sviluppo della tecnologia, alla luce della finalità di detto decreto, di limitare l’utilizzazione degli animali ai soli casi nei quali risulti accertata l’impossibilità di seguire metodi alternativi, evitando inutili ripetizioni degli esperimenti, cosicché siffatti “interventi” devono ritenersi assoggettati alla più rigorosa disciplina stabilita dall’art. 8, 3° comma, D.Lgs. cit.>> (cfr. Cass. civ., Sez.I, 10/07/2003, n.10857).
Non è possibile, inoltre, non richiamare la disciplina penalistica ex art. 727 c.p. (di recente modificata con l. n. 473/1993 – “Nuove norme contro il maltrattamento degli animali”) volto a reprimere qualunque forma di maltrattamento, concetto ampio nel quale ricadono non solo gli atti di sevizie, torture, crudeltà, caratterizzati dal dolo, ma anche quei comportamenti colposi di abbandono ed incuria, che offendono la sensibilità psicofisica degli animali, quali autonomi esseri viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore, come alle attenzioni amorevoli dell’uomo. Come ha osservato la Suprema Corte di Cassazione <<gli animali, anche se utilizzati per il lavoro, devono essere tenuti nel rispetto delle leggi naturali e biologiche, assicurando che intorno ad essi sussistano condizioni che non superino determinati limiti o soglie di dolore>> (Cass. pen., Sez. III, 22/10/1992). Invero, gli animali in quanto autonomi esseri viventi, sono dotati di propria sensibilità psico-fisica, e come tali capaci di avvertire il dolore causato dalla mancanza di attenzione ed amore legato all’abbandono (cfr.: Cass. pen., Sez. III, 10/07/2000, n. 11056; Cass. pen., 14/03/1990).
2. Si afferma tradizionalmente che le regole poste dall’ordinamento giuridico in materia di tutela degli animali, in via di puro principio, non proteggono gli animali da forme di maltrattamento, abbandono ed uccisione gratuita bensì il comune sentimento di pietà che l’uomo prova verso gli animali e che viene offeso da forme di incrudelimento verso gli stessi; sarebbe, pertanto, oggetto di tutela, il sentimento di pietà nell’uomo connaturato anche verso gli animali. Purtuttavia, in via interpretativa adeguata all’evoluzione dei costumi e delle istanze sociali in tema naturalistico, le norme de quibus devono intendersi anche come dirette a tutelare gli animali da forme di maltrattamento, abbandono ed uccisioni gratuite in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore.
3. Fatta questa breve premessa occorre valutare se, come ritenuto dalla difesa del Comune resistente, si debba dichiarare l’inammissibilità del ricorso di primo grado proposto dall’odierna appellante per difetto di interesse, attesa la mancanza di lesività della norma regolamentare impugnata.
L’eccezione è infondata.
Risulta, infatti, di palmare evidenza l’immediata carica lesiva della norma regolamentare gravata in primo grado, id est la incidenza attuale, effettiva e concreta della prescrizione regolamentare sulla sfera giuridica dell’interessata. Invero, la prescrizione in esame escludeva in radice la utilizzabilità di animali come premio, vincita oppure omaggio su tutto il territorio comunale (con salvezza delle iniziative a scopo di adozione promosse da associazioni ambientaliste o animaliste iscritte): ne discende che la lesione paventata dall’appellante era attuale e non richiedeva l’emanazione di provvedimenti attuativi (cfr.: Cons. Stato, Sez.VI, 06/06/1995, n. 556: <<ai fini dell’impugnazione di un regolamento occorre accertare l’immediata e concreta lesività, con riferimento all’entità e alle modalità dell’incidenza effettuale, e non semplicemente ipotetica ed eventuale, dell’atto regolarmente impugnato sulla sfera giuridica dei ricorrenti>>; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. IV, 19/10/1993, n. 897).
4. Con Legge 14 agosto 1991, n. 281 – Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo – il legislatore ha dettato regole volte (cfr.: articolo 1 – Principi generali) a promuovere e disciplinare la tutela degli animali di affezione, condannare gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente. Con L.R. 8 aprile 1995, n. 43, la Regione Toscana ha dettato ”Norme per la gestione dell’anagrafe del cane, la tutela degli animali d’affezione e la prevenzione del randagismo” il cui art. 1 indica le finalità: <<1. La Regione Toscana, al fine di favorire una corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente, promuove e disciplina la tutela degli animali d’affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed i loro abbandono, stimola l’educazione al rispetto degli stessi. 2. Con la presente legge la Regione Toscana recepisce inoltre la legge 14 agosto 1991, n. 281>>. L’art. 8 pone un “Divieto di abbandono” stabilendo <<1. È vietato a chiunque abbandonare gli animali domestici detenuti a qualsiasi titolo […]>>. Con delibera n. 34/2001 il Comune di Prato ha adottato un “Regolamento comunale sui diritti degli animali” il cui art. 16 fa divieto di offrire animali in premio, vincita oppure omaggio su tutto il territorio comunale (con salvezza delle iniziative a scopo di adozione promosse da associazioni ambientaliste o animaliste iscritte).
5. Devono essere, a questo punto, esaminati i motivi di ricorso con cui l’appellante lamenta il difetto di motivazione della sentenza gravata, l’eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà, sviamento e perplessità, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L. n. 281/1991 e dell’art. 1 L.R. n. 45/1995.
Deve essere in primo luogo precisato che sebbene negli atti normativi citati non risulta espressamente fondato il potere regolamentare dell’ente locale (Comune), potere in forza del quale il Comune di Prato ha adottato la delibera n. 34/2001, tale assenza non importa alcun profilo di illegittimità (ovvero di nullità per carenza di potere) del citato regolamento, atteso che il potere regolamentare degli enti locali trova fondamento nell’art. 5 L. n. 142/1990 (si veda ora l’art. 7 del D.Lvo 267/2000) ed ancor prima copertura costituzionale nell’art. 117 Cost. (come riscritto dalla riforma del Titolo V della Costituzione). Orbene, è da condividersi l’opinione secondo cui, anche al di là delle materie contemplate espressamente, la potestà regolamentare degli enti locali (sia pur nei limiti dettati dall’ordinamento) può spaziare oltre le materie contemplate espressamente, in considerazione della caratterizzazione degli enti locali come enti a fini generali (art. 3 comma 2 D.Lvo 267/2000: <<Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo>>), del fatto che il potere regolamentare è espressione del potere di auto-organizzazione dell’ente e dal carattere puramente esemplificativo delle materie indicate nel prefato art. 7 D.Lvo 267/2000 (cfr. l’inciso <<in particolare >>). Risulta priva di base la censura di eccesso di potere basata sulla asserita illegittima diversità di trattamento che il regolamento impugnato ha serbato alla donazione (consentita) degli animali per il tramite di iniziative a scopo di adozione promosse da associazioni ambientaliste o animaliste iscritte e l’utilizzo di animali (vietato) come omaggi, vincite o premi. In particolare non è condivisibile l’assunto dell’appellante secondo cui anche la donazione rappresenterebbe un acquisto occasionale, al pari della vincita, e pertanto, non risulterebbe plausibile una diversificazione di regime giuridico. Invero la donazione è un contratto (art. 769 c.c.) con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione. Nel caso di donazione di animali, pertanto, oggetto della stessa è, in via immediata e diretta, l’animale, il quale entra a far parte del patrimonio del donatario per effetto dello scambio del consenso delle parti (che, come rilevato sopra, ha per oggetto immediato e diretto l’animale). Tale meccanismo non ricorre nel caso di giochi al luna park (il cui premio è rappresentato da animali): invero, colui il quale acquista il biglietto, corrispondendo il danaro per giocare, esegue tale dazione per giocare e non, in via immediata e diretta, per acquisire la disponibilità dell’animale. Ne discende che è immune da vizi la prescrizione impugnata, atteso che l’acquisto di un premio potrebbe essere frutto di una non adeguatamente ponderata scelta foriera di conseguenze che l’ordinamento mira ad evitare (ad. es. l’abbandono).
6. Non può essere esaminato il motivo di ricorso con cui l’appellante censura l’atto gravato sotto il profilo della violazione della L. n. 337/1968, in quanto motivo nuovo in appello.
Va comunque considerato che il motivo appare comunque infondato in quanto il riconoscimento e la promozione statuale del settore del circo equestre e dello spettacolo viaggiante non è un valore assoluto bensì relativo, da contemperare con gli altri valori ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico (quali quelli espressi dalla L. 14 agosto 1991, n. 281 e L.R. 8 aprile 1995, n. 43).
Ciò considerato l’appello deve essere rigettato.
Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza gravata.
Compensa le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 24 febbraio 2004, con l’intervento dei sigg.ri:
Emidio Frascione presidente,
Chiarenza Millemaggi Cogliani consigliere,
Paolo Buonvino consigliere,
Cesare Lamberti consigliere
Michele Corradino consigliere estensore,
L’ESTENSORE f.to Michele Corradino
IL PRESIDENTE f.to Emidio Frascione
IL SEGRETARIO f.to Gaetano Navarra
IL DIRIGENTE f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27 settembre 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)