Incidente per buca stradale: il Comune è responsabile dei danni
Qualora si subisca un danno derivante dalla cattiva manutenzione dell’asfalto, come può essere una buca apertasi nel manto stradale, un tombino semiaperto, oppure una mattonella divelta, scatta la responsabilità oggettiva dell’ente comunale, la quale comporta l’obbligo di risarcimento.
Sarà poi il Comune, in qualità di gestore della strada, a dover dimostrare se la caduta sia avvenuta per altra ragione, tra cui anche la stessa imperizia o imprudenza del conducente (così se l’automobilista procedeva velocemente su una strada in evidente disfacimento), ossia dovuta a fattori estranei al proprio onere di custodia.
È il principio stabilito dal Tribunale di Napoli con la sentenza n. 144 del 8 gennaio 2016.
Il tema affrontato dalla sentenza in commento è quello della c.d insidia o trabocchetto che si verifica ad esempio quando una buca è nascosta o poco visibile.
Attingendo al principio di responsabilità presunta in capo all’ente proprietario della strada ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile, i Giudici partenopei attribuiscono la responsabilità al custode il quale è sempre tenuto a garantire l’incolumità dell’utenza.
Nel caso discusso, il tribunale ha ritenuto che l’ente pubblico sia venuto meno ad un obbligo di manutenzione della pubblica via, poiché ha lasciato che l’insidia stradale improvvisa e non avvertibile potesse costituire il motivo di cadute accidentali da parte dei passanti.
Anche i tempi di intervento caratterizzano l’onere di diligente custodia in capo al proprietario della via pubblica, perché la presenza di una insidia stradale deve determinare l’obbligo di un immediato intervento riparatore proprio per delimitare (con avvisi) ovvero eliminare (con le coperture necessarie) il tratto guastato e pericoloso per il pubblico transito.
Qualora dunque l’ente proprietario della strada non dimostri che la caduta sia stata imputabile ad altro fattore estraneo al proprio onere di custodia della via, il Comune deve essere condannato al risarcimento di tutti i danni alla persona patiti dal conducente del veicolo rovinato a terra senza colpa.
Sentenza n. 144 del 8 gennaio 2016
TRIBUNALE DI NAPOLI
SEZIONE II
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Unico, dr. Diego Ragozini, ha emesso la seguente
sentenza
Nella causa civile n. 23029.12 R.G. Avente ad oggetto: risarcimento danni TRA
Gi. cf (…) e difeso,
dall’avv.to Mi.Li., come in atti
Attore
Fr. cf (…) e
difeso, dall’avv.to Mi.Li., come in atti
Interventore
CONTRO
Comune di Napoli, in persona del legale rap.te pro tempore, cf (…) rappresentato e difeso dall’avv.to Ca.Ca. dell’avvocatura comunale come in atti
convenuto
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E MOTIVI DELLA DECISIONE
In limine, si premette che la sentenza che segue, sarà redatta in attuazione dell’art. 45 comma 17, legge 18.6.09 n. 69, entrata in vigore in data 4.7.09, che, novellando l’art. 132 n. 4 c.p.c. dispone che la sentenza sia redatta mediante concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Parte attrice, con atto di citazione regolarmente notificato, ha richiesto condannarsi al risarcimento dei danni – occorsi alla sua persona – parte convenuta, a seguito del sinistro, accaduto in data 9.9.09 alle ore 22.30 in Napoli, alla via (…), allorquando, nel percorrere alla guida del motoveicolo (…) tg (…) di proprietà di Fr., cadeva al suolo perché finiva su di una buca lungo la strada non segnalata, a velocità moderata, in un tratto non illuminato. Indossava il casco.
Costituitosi il comune di Napoli, contestava l’avversa pretesa chiedendo il rigetto della domanda.
Interveniva, quale proprietario del motoveicolo danneggiato Fr., al fine di sentir condannare il comune al risarcimento dei danni al predetto mezzo di trasporto.
Acquisita la documentazione, disposte le prove orali, e la ctu sulla persona del 1 Fr., la causa veniva assegnata in decisione con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.
Sulla legittimazione attiva e passiva delle parti.
Dagli atti del giudizio è emerso che parte attrice nelle circostanze di tempo e di luogo indicato in citazione, si trovava proprio in una strada in Napoli ove è caduta a seguito della buca presente lungo via (…), così come risulta Fr. proprietario del motoveicolo coinvolto nel sinistro.
In ordine alla dinamica del sinistro dalla documentazione in atti, e soprattutto dalle dichiarazioni rese in sede di prova testimoniale all’udienza dell’8.4.14 dal teste Iv.Ma., può ritenersi confermata la vicenda descritta in citazione dall’attore, che all’atto di percorrere via (…), in un tratto poco illuminato, si trovava a finire in una buca grande quasi come la corsia di marcia e non segnalata e quindi difficile da evitare e da percepire.
Per le considerazioni che di seguito si espongono, la responsabilità del sinistro è da addebitarsi unicamente all’ente comunale.
Norma applicabile alla fattispecie di cui è causa.
Venendo ad esaminare i rapporti tra l’art. 2043 c.c. e 2051 c.c. e la loro applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio, occorre premettere che negli ultimi anni si sono formati due orientamenti giurisprudenziali in merito alla responsabilità della P.A. per i danni subiti dall’utente, conseguenti ad omessa od insufficiente manutenzione stradale.
Secondo una prima tesi, la tutela può essere concessa esclusivamente ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Più nel dettaglio, il ragionamento seguito parte dal presupposto che alla P.A. non si applichi, in relazione alla manutenzione delle strade pubbliche la responsabilità del proprietario per i danni cagionati dalle cose in sua custodia prevista dall’art. 2051 c.c. dal momento che il proprietario delle cose che abbiano cagionato il danno, sarebbe responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c. solo in quanto ne sia custode ovvero eserciti un effettivo potere di controllo sul bene che ne implichi quindi il potere di vigilanza (cfr. Cass. n. 20827/06). Tale norma non sarebbe quindi riferibile alla P.A., allorché sul bene di sua proprietà, come nel caso del tracciato stradale, non sia possibile, per la notevole estensione del bene e per le modalità d’uso diretto e generale da parte dei terzi, un continuo, efficace ed effettivo controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti.
Su tali premesse, ed alla luce della formulazione aperta dell’art. 2043 c.c. che consente al giudice l’adattamento di tale norma alle circostanze del caso attraverso la valutazione dei limiti di meritevolezza degli interessi lesi, anche in relazione ad altri interessi antagonisti, secondo l’evolversi della coscienza sociale e del sistema giuridico generale nonché degli strumenti normalmente a disposizione dei soggetti titolari di tali interessi, l’indirizzo giurisprudenziale citato riconduce la fattispecie di cui è causa nell’alveo della responsabilità acquiliana.
Si osserva in particolare che, la P.A. incontra nell’esercizio del suo potere discrezionale, anche nella vigilanza e controllo dei beni demaniali oltre che patrimoniali, limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento, nonché dalle norme tecniche e di comune prudenza e diligenza, ed in particolare dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere (art. 2043 c.c.), in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo al c.d. trabocchetto o insidia.
Più in dettaglio, viene comunemente specificato che una situazione di pericolo occulto ricorre allorché lo stato dei luoghi sia caratterizzato da duplice e concorrente requisito della non visibilità oggettiva e della non prevedibilità soggettiva del pericolo stesso. Ne consegue che nella fattispecie come quella in esame, il compito del giudice ordinario si risolverebbe nell’accertare, secondo le circostanze di tempo e di luogo, se la P.A. sia stata in concreto responsabile dei danni, tenuto conto anche del particolare rapporto che, da una parte il proprietario, e dall’altra, il terzo danneggiato hanno con la cosa in relazione alla quale l’evento si verifica. Tale orientamento valorizza inoltre il fatto che la manutenzione delle strade costituisce per l’ente pubblico un dovere istituzionale non correlato a un diritto soggettivo dei privati, i quali possono far valere soltanto un interesse legittimo al corretto esercizio del potere discrezionale dell’ente medesimo.
Pertanto il difetto di manutenzione verrebbe in rilievo, nei rapporti con i privati, unicamente allorché la P.A. non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell’integrità patrimoniale e personale dei terzi, violando il principio del neminem laedere: superando così il limite esterno alla propria discrezionalità, con conseguente sua sottoposizione al regime generale di responsabilità dettato dall’art. 2043 c.c. Tuttavia, nell’accertamento in concreto di questa responsabilità si dovrebbe, comunque, tenere nel debito conto il particolare rapporto che hanno con la strada pubblica, da una parte, l’ente proprietario e dall’altra gli utenti, i quali, in coerenza con il principio di autoresponsabilità, sarebbero gravati d’un onere di particolare attenzione nell’esercizio dell’uso ordinario e diretto del bene demaniale o patrimoniale, per salvaguardare appunto la propria incolumità.
Più in particolare, in questo contesto, la nozione di insidia stradale si verrebbe a configurare come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall’esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità.
Se ed in quanto il danneggiato provi l’insidia, potrebbe essere affermata la responsabilità della P.A. salvo che questa, a sua volta, provi di non aver potuto rimuovere, adottando le misure idonee, la situazione pericolosa, i cui elementi costitutivi, il giudice ha comunque il compito di individuare in modo specifico (fra l’altro precisando gli standards di diligenza connessi alla visibilità e prevedibilità nonché alla evitabilità del pericolo stesso, in relazione all’uso della strada), onde accertare in definitiva se ricorrano, a stregua delle peculiarità del caso, le condizioni richieste dall’art. 2043 c.c.
All’orientamento sin qui menzionato si contrappone, viceversa, altra tesi secondo la quale, con specifico riferimento alla responsabilità degli enti locali, si ritiene che dalla proprietà pubblica di tali enti sulle strade poste all’interno degli abitati (art. 16 all. f L. 2248/1865), discenda non solo l’obbligo per essi della manutenzione, come stabilito dall’art. 5 R.D. 15/11/1923 n. 2506, ma anche quello della custodia, con conseguente operatività nei confronti dei comuni medesimi, della presunzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., qualora abbiano omesso di vigilare per impedire l’insorgenza dei danni a terzi (cfr. Cass. 4495/11, 8157/09, 7763/07). L’orientamento è stato esteso anche alle ipotesi di tutti gli enti proprietari delle strade ai sensi dell’art. 14 del D.lgs. 285 del 1992, anche ai concessionari di autostrade (cfr. Cass. 4495/11).
Il fondamento di tale approccio, come concordemente ritengono l’elaborazione giurisprudenziale e la più accreditata dottrina, consta nel dovere di custodia che incombe sul soggetto che ha un potere fisico diretto e non occasionale su una cosa che si concreta nell’attività di vigilare e provvedere affinché la cosa non arrechi pregiudizio ad altri e che, in virtù della previsione normativa, si traduce in un obbligo giuridico.
Infatti, elemento qualificante della responsabilità del custode è la disponibilità immediata, un c.d. potere di governo sulla cosa che consenta di controllare le modalità di uso e conservazione della cosa stessa.
Tra i fautori dell’orientamento dell’ammissibilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo agli enti proprietari o concessionari di strade, non sussitono unanimità di vedute in ordine alla natura della responsabilità.
Taluni sostengono che la norma invocata introduca una responsabilità oggettiva in capo al custode, il quale, quindi potrà invocare il caso fortuito inteso come mera esclusione del nesso causale, del rapporto tra gli effetti lesivi e la cosa custodita (Cass. n. 8229/010), mentre, ed è la maggioranza, viene anche ricondotta la norma nell’alveo della responsabilità per colpa aggravata – nel senso della dalla presunzione di colpa in capo al custode – (Cass. n. 3651/06, 2459/09), ove il caso fortuito si considera come esimente della colpa, evento imprevedibile ed inevitabile anche con l’ordinaria diligenza ascrivibile all’agente modello.
In tale ottica, l’estensione della rete viaria, l’uso generalizzato da parte della collettività, lungi dall’escludere il potere di custodia, come sostengono i fautori del primo approccio, assurgono ad indici per accertare in concreto la condotta ed il grado di diligenza esigibili all’ente proprietario.
In termini processuali, la responsabilità ex art. 2051 c.c. implica una posizione più favorevole al danneggiato, in quanto, sia a volerla considerare responsabilità oggettiva che responsabilità per colpa presunta, data la fattispecie, sarà sufficiente dimostrare la sussistenza del danno, ed il nesso causale tra lo stesso e il bene oggetto di custodia, essendo invece a carico dell’ente proprietario, dimostrare che la situazione di pericolo, sia derivata da terzi, come ad es. gli utenti della strada o da una imprevedibile alterazione dello stato della cosa non immediatamente rimuovibile c.d. caso fortuito sia nel senso di esclusione del nesso causale che della colpa imputabile a secondo dell’approccio preferito.
Chi scrive predilige l’orientamento più recentemente affermatosi nella maggioranza delle pronunzie della giurisprudenza di legittimità secondo cui è configurabile una responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo all’ente proprietario o gestore, in termini di colpa presunta.
Invero, il potere di controllo, inteso come effettiva possibilità di manutenzione e gestione delle strade, è sempre più pregnante, date le moderne tecnologie che offrono sempre più efficaci dotazioni e sistemi di assistenza, unitamente al continuo diffondersi della cultura dell’organizzazione gestionale all’interno degli enti, laddove siano adottate politiche di programmazione periodica di interventi, controlli e verifiche costanti dello stato manutentivo di ogni ordine di strada, e persino autostrada.
Mentre, l’estensione e l’uso generalizzato della strada, possono assumere al più ad elementi indiziari, dell’inesigibilità di una condotta impeditiva dell’evento, quindi non imputabile al proprietario a titolo di colpa.
L’ampia premessa svolta, consente di esaminare la fattispecie dedotta in giudizio, nell’alveo dell’art. 2051 c.c. in quanto, deve ritenersi sussistente un potere gestoreo, di controllo dell’ente comunale sulla strada comunale, all’interno del perimetro del comune.
Orbene, la presenza di acqua piovana, come accertata in premessa, ha ricoperto al punto da rendere non visibile la buca, impedendo così ogni addebito al pedone, il quale non poteva riconoscere la sussistenza di un pericolo ed attivare le necessarie e richieste condotte diligenti secondo il principio su enunziato dell’autoresponsabilità.
Inoltre, deve anche ritenersi esclusa la sussistenza del caso fortuito, inteso come evento imprevedibile ed inevitabile, in quanto, la possibilità che in presenza di una precipitazione, una buca stradale si ricopra di acqua, è di per sé elevata, ovvia conseguenza di una serie causale normale.
I fatti così ricostruiti escludono la sussistenza del cosiddetto caso fortuito da intendersi come esimente della responsabilità per colpa.
presunta in capo la pubblica amministrazione dovendosi ritenere l’evento direttamente riconducibile alla particolare conformazione del tratto di strada in assenza di eventuali fattori esterni sopravvenuti, imprevedibili esimente della responsabilità del Comune.
Sul danno risarcibile
Circa il danno risarcibile, ritiene questo giudicante di prendere come punto di riferimento per le conclusioni che seguiranno, il nuovo sistema bipolare introdotto dalla Corte di Cassazione con le sentenze nn. 7281, 7282, 7283, 8827 e 8828 del 2003. Superando il sistema risarcitorio tradizionale, fondato sulla tripartizione dei danni (biologico, morale e patrimoniale), la Suprema Corte ha, infatti, affermato che il danno alla persona, integralmente inteso, vada risarcito nelle sue componenti non patrimoniali e patrimoniali.
In ordine a tale ultima categoria di danno, si distinguono le voci di danno emergente, ovvero le effettive e documentate spese affrontate in conseguenza del sinistro, dalle voci di danno da lucro cessante, ovvero i mancati introiti che ragionevolmente, secondo un giudizio di prognosi futura rimesso all’id quoad plerumque accidit, sarebbero stati ottenuti dal danneggiato in mancanza dell’evento lesivo.
In merito a tale ultima voce, va evidenziato che il danno derivante dalla riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente al sinistro è suscettibile di autonoma liquidazione solo laddove il soggetto leso fornisca la prova rigorosa in ordine alla diminuzione di reddito dipendente dalle sofferte lesioni. Ciò in quanto la riduzione dell’attitudine del danneggiato alla piena esplicazione delle energie psicofisiche integra un pregiudizio generalmente definito come riduzione della capacità lavorativa generica, che corrisponde ad una delle molteplici componenti del danno biologico. Infatti la Suprema Corte (v. Cass. nn. 13409/2001 e 10289/2001) afferma da tempo che “l’accertamento di postumi permanenti, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l’automatico obbligo del danneggiarne di risarcire il danno patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno – derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica – e quindi di produzione di reddito; perciò detto danno patrimoniale da invalidità deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente avrebbe svolto, un’attività produttiva di reddito”.
In ordine al danno non patrimoniale, può affermarsi che, vi confluiscano le voci del danno biologico, danno morale soggettivo ed il danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.
Mentre, il danno patrimoniale, è la sintesi del danno alla capacità lavorativa specifica e, in generale, di tutte le ripercussioni sul piano patrimoniale (spese sostenute, perdite subite anche come mancati utili) che sono conseguenza dell’illecito.
Ciò posto, il danno biologico detto anche alla salute, secondo la definizione della Corte delle leggi, consistente nell’alterazione peggiorativa dell’integrità psico – fisica del soggetto, e costituisce la componente prioritaria del danno alla persona e la prima voce di danno non patrimoniale.
L’elaborazione giurisprudenziale è nel senso di ritenere ivi assorbite, le voci definite a vario titolo, capacità lavorativa generica (cfr. Cass. n. 7084/2001), il danno alla vita di relazione (cfr. Cass. n. 3266/2003) il danno sessuale (cfr. Cass. n. 1421/1998) ed il danno estetico.
Essendo un danno alla persona, lo stesso deve essere liquidato secondo criteri oggettivi identici per ogni soggetto, che necessariamente condivide delle stesse esigenze di ogni altro cittadino.
Va tuttavia, tenuto conto anche ed ulteriormente, dell’incidenza che la menomazione ha dispiegato sulle attività della vita quotidiana del danneggiato, potendo applicare dei correttivi in relazione ad accertate peculiarità del caso concreto.
Oltre al danno alla salute, nel danno non patrimoniale, si suole ricondurre la voce del danno morale soggettivo, detto anche pretium doloris, ovvero, mera sofferenza psichica e patema d’animo del soggetto leso.
Va risarcito, a seguito delle sentenze già citate del 2003 della Corte di Cassazione, anche nelle ipotesi in cui il fatto non sia configurabile come reato e nelle ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge e, quindi, a prescindere dall’accertamento della colpa in concreto dell’autore del danno, come invece richiesto in precedenza, sulla scorta della tradizionale lettura del combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c. (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 233/2003).
In ultimo, rientra nella categoria in esame, il danno per la lesione di ulteriori interessi inerenti alla persona e di rango costituzionale, oltre il danno alla salute es. il danno da perdita del rapporto parentale (Cass. n. 4118/2004).
Il criterio interpretativo che guida il combinato disposto dell’art. 2043 c.c. e delle eterogenee norme costituzionali che danno rilevanza alla sfera personale in tutte le sue manifestazioni, ha il limite derivante dall’esigenza di evitare la duplicazione delle voci di danno (cfr. Cass. n. 8828/2003, ove si afferma che occorre assicurare che sia sempre raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci di danno che concorrono a determinare il complessivo risarcimento).
La progressiva elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, ha inteso eliminare ogni rilevanza ed autonomia al c.d. danno esistenziale, essendo stata tale categoria disconosciuta nella sua autonomia dalle più recenti sentenze della Corte di Cassazione. Il danno esistenziale, inteso quale danno derivato dalla forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative, fonte di compiacimento o benessere per il danneggiato, non causata, però, da una compromissione dell’integrità psico – fisica, è nato in dottrina nella metà degli anni 90 del secolo scorso e ha ottenuto un discreto riconoscimento giurisprudenziale (sia di merito sia di legittimità) dal 1999 in poi, al punto da essere definito, nell’ambito nel sistema tradizionale risarcitorio, la quarta voce di danno alla persona. Con le già citate sentenze del 2003 la Corte di Cassazione ha abbandonato la precedente impostazione e può ritenersi che, oggi, il danno esistenziale possa essere riconosciuto e risarcito soltanto nei limiti in cui derivi dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. Così, esemplificando, si è affermata la risarcibilità del danno esistenziale sofferto dal figlio a causa della violazione da parte del genitore degli obblighi di assistenza morale e materiale, ed in particolare quello dell’assistenza educativa, sanciti a livello costituzionale dall’art. 30 Cost. (Trib. Venezia n. 1292/2004); è stato, poi, riconosciuta la risarcibilità del danno causato dalla permanenza alle armi in conseguenza del provvedimento illegittimo di rigetto dell’istanza di obiezione di coscienza, venendo in rilievo la lesione del diritto di opinione e di manifestazione del pensiero e convincimento religioso, costituzionalmente garantito ex artt. 19 e 21 Cost. (Trib. Bologna n. 261/2004).
Le esposte considerazioni, in termini di risarcibilità del danno non patrimoniale, sono state rivisitate da un recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità di cui alla sentenza a S.U. n. 26972 del 2008 che nel condividere la lettura costituzionalmente orientata delle sentenze citate in premessa, la completano nei seguenti termini.
Invero, sul presupposto che l’art. 2059 c.c. non integri una nuova figura di illecito extracontrattuale, si afferma che è consentita la riparazione anche di danni a beni non suscettibili di diretta valutazione economica, pur sempre verificando la sussistenza degli elementi costitutivi di cui all’art. 2043 c.c.
Quindi, condotta, danno ingiusto perché conseguente alla lesione di un interesse meritevole di tutela, nesso causale tra la condotta ed il danno ingiusto.
L’intero assetto normativo è il rivelatore degli interessi meritevoli di tutela, con la conseguenza che, al di là di ipotesi espressamente previste dalla legge (quali l’art. 185 c.p. la legge 675 del 1996 articolo 29 comma 9 in tema di trattamento dei dati sensibili, etc.), non può non essere la necessaria tutela minima riconosciuta ai diritti inviolabili della persona ad orientare l’interprete in ordine alla individuazione di situazioni giuridicamente degne di tutela la cui lesione può qualificarsi danno ingiusto.
Tale indagine, a differenza dell’articolo 2043 c.c. deve essere condotta sul binario della tipicità potendo essere risarcito solo il danno non patrimoniale nei casi previsti dalla legge ex articolo 2059 c.c., e quindi nei casi in cui il legislatore abbia direttamente previsto il risarcimento ò nei casi in cui la lesione colpisca diritti inviolabili della persona la cui tutela non può non ricomprendere il risarcimento del danno.
La Suprema Corte di Cassazione, arriva a superare la tradizionale rilevanza del danno morale transeunte, ovvero della sofferenza dell’animo passeggera, facendola confluire nell’unica categoria di danno non patrimoniale potendo al più essere una delle voci del danno, uno dei possibili pregiudizi non patrimoniali, definendola come quella sofferenza soggettiva cagionata dall’illecito la cui intensità e durata non assumono rilievo ai lini dell’esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.
Tale premessa conduce la Suprema Corte ad affermare che la risarcibilità del danno non patrimoniale solo nelle ipotesi di lesione di diritti inviolabili o di interessi meritevoli di tutela, senza però poter creare distinte categorie di danno non patrimoniale, ma riconducendovi all’interno del danno non patrimoniale vari tipi di pregiudizi alla persona senza autonoma rilevanza patrimoniale.
Anche la cernita degli interessi meritevoli di tutela devono pur sempre essere ancorati a posizioni inviolabili della persona umana.
Con la conseguenza che se da un lato la previsione della condotta in termini di reato è un sicuro indice di rilevanza dell’interesse leso, così come lo è l’espressa previsione normativa, al di fuori di tali ipotesi, avrà rilievo solo la lesione di un diritto inviolabile della persona.
Ma tali ipotesi., nel complesso non saranno autonome categorie di danno, ma voci del danno non patrimoniale, relative a diversi pregiudizi.
Ne consegue che all’atto dell’accertamento dell’effettivo pregiudizio, occorrerà rifarsi a concrete lesioni a prescindere da categorie astratte.
Nel caso del danno c.d. morale, occorrerà accertare la sofferenza morale a sé stante in assenza di alcuna componente patologica, non come componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale.
Quindi occorrerà che sia allegata una specifica sofferenza psichica distinta dal danno biologico inteso come patologia che invece, può anche presentare un’afflizione in aggiunta della patologia, ma che in tal caso non sarà un altro tipo di danno, ma sarà il danno biologico di una particolare intensità clic si è riversata sugli aspetti dinamico relazionali dell’individuo.
Le S.U. enunziate, arrivano alla conclusione secondo cui determina una non ammessa duplicazione del danno, la congiunta liquidazione del danno biologico e del danno morale sovente liquidato in percentuale del danno biologico, laddove non si dimostri anche con presunzioni, la sussistenza di una sofferenza morale distinta e diversa dal danno biologico.
Inoltre, il danno non patrimoniale, costituisce danno conseguenza che come tale deve essere allegato e provato, infatti accogliendo l’ormai prevalente tesi del danno conseguenza in ordine al danno non patrimoniale, si può affermare che non è la semplice lesione che provoca un danno automaticamente, ma è ciò che da essa ne scaturisce in termini di pregiudizio alla persona.
Mentre il danno biologico, è passibile di accertamento medico legale, sebbene non vincolante per il giudice, gli altri pregiudizi non patrimoniali, potranno essere accertati tramite la prova testimoniale o le presunzioni.
Quindi ed in conclusione, il danno biologico da definirsi come lesione all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico – legale appartiene alla categoria del danno non patrimoniale.
Il predetto danno ha risvolti anatomo – funzionali, relazionali ed in termini di sofferenza soggettiva, cioè il dolore che consegue alla lesione.
I tre risvolti possono avere nel concreto una intensità diversa, ma in termini giuridici, ci si muove all’interno della medesima categoria di danno non patrimoniale e non c’è spazio per una categoria distinta di c.d. danno morale.
L’istruttoria ha consentito di accertare le lesioni personali subite dall’attore a seguito di una condotta con rilevanza penale (lesioni colpose mediante omissione) cui, tuttavia non sono seguite ulteriori conseguenze pregiudizievoli tali da aggravare in termini di danno non patrimoniale il quantum risarcitorio come individuato nel corso del giudizio.
Invero, l’istante si limita ad allegare semplicemente di non aver potuto fruire di normali vicissitudini della vita sociale, in cui, anche il non potersi recare a scuola o una limitata temporale attività sessuale, rientra.
Non risulta invece sufficientemente provata la ripercussione su una situazione giuridicamente rilevante a livello costituzionale, significativa al punto da riconoscere un ulteriore e distinto pregiudizio non patrimoniale.
Tali eventi appaiono direttamente riconducibili al concetto di danno biologico che comprende anche un minimo di afflizione conseguenza delle lesioni subite alla persona, risultando giustificata l’applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano ultimo aggiornamento, così come adeguate a seguito dell’incremento medio del 27% degli importi ivi indicati, ritenendo non applicabile alla fattispecie de quo, il c.d. codice delle assicurazioni da ritenersi disciplina speciale dettata per della disciplina del risarcimento danni a seguito di sinistri stradali e non soggetta ad applicazione analogica, perché frutto della necessaria comparazione di interessi settoriali contrapposti (cfr. Cass. 12408 del 2011).
Orbene, quanto al danno biologico, dalle conclusioni del ctu, che si fanno proprie perché esenti da vizi logico giuridici, lo stesso è pari per i postumi residui al 8% con ITT di giorni 60 e ITP di giorni 30 al 50% e giorni 30 al 25%.
All’istante, che alla data del sinistro aveva anni 30, in applicazione delle su richiamate tabelle, spetta la somma complessiva di Euro 24.153,00di per i postumi dal danno biologico al 8% e l’invalidità temporanea e totale (Euro 96,00 pro die in mancanza di particolare intensità dell’invalidità).
La somma in oggetto è stata determinata con la rivalutazione all’attualità, ma al ricorrente compete altresì il danno conseguente al ritardo nell’adempimento liquidabile con gli interessi al tasso legale sull’ammontare originario del credito alla data del sinistro di anno in anno rivalutato, dal di del fatto (9.9.2009) sino a quello della pubblicazione della sentenza (cfr. Cass. sent. n. 1712/1995).
A titolo di danno patrimoniale emergente, sarà liquidata la somma di Euro 9903,51 oltre interessi legali ex art. 1284 c.c. dalla data della domanda giudiziale e, vista la richiesta, oltre alla differenza tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza a mesi dodici mesi ed il saggio degli interessi legali, nel periodo dalla domanda giudiziale sino al soddisfo.
A titolo di danno emergente va liquidata anche la somma di Euro 4308,93 per le spese di natura stragiudiziali compresa la visita al medico di fiducia che la parte ha convenuto e dovrà affrontare all’esito del giudizio, con interessi legali dalla sentenza al soddisfo.
Nulla sarà liquidato come danno emergente futuro, attesa la mancata prova in ordine a spese strettamente connesse al sinistro de quo, di futura erogazione.
Si rigetta inoltre la richiesta di dichiarare la responsabilità aggravata del convenuto il quale ha legittimamente esercitato la posizione avversa alla pretesa.
Nulla per la perdita della capacità, lavorativa specifica, in quanto mancano elementi probatori in ordine ad uno specifico reddito non percepito, né la circostanza che sia casalinga, tra l’altro non provata, di per sé rileva in quanto non vi è alcuna prova dell’esclusivo apporto alla gestione familiare.
II danno subito da Fr.
Secondo equità, il danno subito al motoveicolo poi rottamato, tenuto conto delle voci di danno in comparsa di intervento, preso atto della necessità della rottamazione e della recente immatricolazione rispetto il sinistro, va liquidato, comprensivo di interessi e rivalutazione, in Euro 4000,00 con interessi legali dalla sentenza al soddisfo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Napoli, Sezione II, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta, così provvede:
– dichiara responsabile del sinistro de quo il convenuto comune di Napoli;
– per l’effetto condanna il comune al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 24.153,00 con gli interessi al tasso legale sull’ammontare originario del credito di anno in anno rivalutato, dal di del fatto (9.9.09) sino alla data della sentenza, dalla data della sentenza spetteranno gli interessi legali sino al soddisfo;
– condanna parte convenuta al pagamento in favore di; Gi., della somma di Euro 9903,51 oltre interessi legali ex art. 1284 c.c. dalla data della domanda giudiziale, oltre alla differenza tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza a mesi dodici mesi ed il saggio degli interessi legali, nel periodo dalla domanda giudiziale sino al soddisfo;
– condanna parte convenuta al pagamento in favore di Gi. della somma di Euro 4308,93 con interessi legali dalla sentenza al soddisfo;
– condanna parte convenuta al pagamento delle spese di lite in favore del legale dell’attore, che hanno dichiarato di aver anticipato le spese in nome e per conto del; Gi., per il totale di Euro 7500,00 oltre iva cassa e spese di ctu e spese generali;
– condanna parte convenuta al pagamento in favore di’ Fr. della somma di Euro 4000,00 oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo;
– condanna parte convenuta al pagamento delle spese di lite in favore del legale di Fr., che hanno dichiarato di aver anticipato le spese in nome e per conto di Pedone Fr., per il totale di Euro 2500,00 oltre iva cassa e spese generali.
Così deciso in Napoli il 6 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria l’8 gennaio 2016.