Caduta al supermercato: risponde il proprietario dell’esercizio commerciale
Il proprietario del supermercato deve risarcire i danni a chi cade all’interno del locale a causa di un rifiuto lasciato a terra: lo scivolone, infatti, rientra tra i rischi che deve evitare chi ha in custodia il bene (in questo caso, il supermercato stesso).
È il principio che emerge dalla sentenza emessa dal Tribunale di Perugia il 27/11/2015 qui in commento.
Il caso sottoposto all’attenzione del giudice Ilenia Miccichè vede come sfortunato protagonista un signore scivolato all’interno di un supermercato, vicino l’area di esposizione della frutta, a causa di acqua non segnalata e di un chicco d’uva.
L’obbligo di risarcimento da parte del Supermercato deriva dalla circostanza che la legge pone in capo al custode una responsabilità oggettiva (art. 2051 c.c.), che prescinde cioè dal dolo o dalla colpa di questi in ordine alla realizzazione dell’evento. In pratica, ciò significa che non rileva il fatto che a buttare a terra l’oggetto scivoloso possa essere stato un altro cliente, poco educato: a rispondere delle conseguenze dannose resta sempre il titolare del supermercato.
Né si può parlare nella specie di caso fortuito al fine di escludere la responsabilità del custode, poiché il chicco d’uva, la foglia di lattuga, o il pomodoro schiacciato e lasciato a terra, anche se pochi minuti prima, resta un evento del tutto prevedibile che, quindi, va evitato con le dovute cautele onde tutelare la sicurezza dei consumatori.
Il Giudice perugino ha altresì escluso la possibilità di un concorso di colpa del danneggiato sul presupposto che nella specie nulla potesse consentire “di ipotizzare la certa visibilità del chicco d’uva sul pavimento”.
Il Supermercato è stato quindi condannato a risarcire tutti i danni subiti dal malcapitato cliente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PERUGIA
– SEZIONE PRIMA CIVILE –
in composizione monocratica, in persona del giudice dr.ssa Ilenia Miccichè, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 2553 del Ruolo Generale dell’anno 2011, trattenuta in decisione all’udienza del 17.06.15, vertente tra:
(A), nato a … (…) il …, ivi residente in via … n. …, C.F. …, elettivamente domiciliato in …, via … n. .., rappresentato e difeso dall’avv. …., giusta delega a margine dell’atto di citazione;
Attore
Contro
(B) S.p.a., con sede in …, …, …, … n. .., P.IVA …, in persona del consigliere delegato e legale rappresentante, rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, dagli avv.ti … e …, elettivamente domiciliata presso il loro studio, sito in …, n. …, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione con chiamata di terzo in garanzia;
Convenuto
E con
(C) S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., via … corrente in……n. .., P.IVA …, n. …, rappresentata e difesa dall’avv. … in forza di procura estesa in calce all’atto di chiamata in causa, presso lo studio del quale, in …, Corso … n. .., è domiciliata;
Chiamata in causa
Avente ad oggetto: risarcimento danni ex art. 2051 c.c..
Conclusioni: per l’attore: come nell’atto introduttivo del giudizio del 2.05.11; per la convenuta: come da memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c.; per la chiamata in causa: come da comparsa di costituzione e risposta.
Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato (A) conveniva in giudizio la (B) S.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivati dal sinistro avvenuto il 26.10.10 all’interno del supermercato (D) di quando, camminando nei pressi dell’area di esposizione di frutta e verdura, l’attore era caduto in terra a causa della presenza di acqua, non segnalata.
Quantificava il danno subìto in Euro. 12.439,31, per invalidità permanente totale e parziale, danno biologico, danno da sofferenza (ex morale) e spese mediche.
La (B), costituitasi per chiedere il rigetto della domanda attorea, contestava la ricostruzione dei fatti offerta nell’atto introduttivo, negando che nel luogo e momento dell’incidente vi fosse in terra acqua o altro liquido; aggiungeva che, come noto ai clienti assidui del supermercato, il personale addetto al reparto si preoccupava di ripulire le aree antistanti gli espositori da residui proprio al fine di evitare insidie o situazioni di pericolo per la clientela e, comunque, eccepiva l’eccessività delle somme chieste dall’attore. Deduceva di avere stipulato con (C) S.p.a. polizza per l’assicurazione della responsabilità civile e, per tale ragione, chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa per essere manlevata, anche in punto di spese legali, ove fosse accertata la propria responsabilità.
La (C) S.p.a., costituitasi all’udienza di prima comparizione, contestava quanto dedotto nell’atto introduttivo, trattandosi di circostanze non rispondenti alla realtà dei fatti, e deduceva che nessuna negligenza potesse ascriversi alla convenuta, poiché il pavimento non presentava alcuna insidia o trabocchetto; contestava la quantificazione dei danni offerta dall’attore e deduceva essere prevista, nella polizza assicurativa stipulata con la convenuta, franchigia di Euro. 5.000,00, con conseguente irritualità della chiamata in causa operata dalla parte convenuta, che avrebbe dovuto evitarla, gestendo il sinistro entro la somma di cui alla franchigia. Concludeva chiedendo il rigetto della domanda; in subordine, chiedeva che venisse contenuto il risarcimento entro l’importo di Euro. 5.000,00, così condannando al pagamento la sola convenuta.
La causa è stata istruita a mezzo di prove orali, all’esito delle quali è stata disposta CTU medico-legale.
All’udienza del 17.06.15 la causa è stata trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di rito per il deposito degli scritti difensivi finali.
La domanda attorea è fondata, nei limiti di seguito esposti.
In diritto, va rilevato che l’oggetto della controversia attiene alla tradizionale tematica della responsabilità custodiale.
Sul punto, la norma dell’art. 2051 c.c. contempla quali due unici presupposti applicativi la custodia e la derivazione del danno dalla cosa (cfr., ex plurimis, Cass. n. 20427/2008, Cass. n. 4279/2008 e Cass. n. 858/2008).
Invero, il primo presupposto, ossia la custodia, consiste nel potere fattuale di effettiva disponibilità e controllo della cosa, che è evidentemente qualcosa di molto più ampio della nozione contrattuale di custodia. Custodi sono infatti tutti i soggetti, pubblici o privati, che hanno il possesso o la detenzione della cosa e custodi sono anzitutto i proprietari, ma anche conduttori, depositari, comodatari e usufruttuari.
Nessun dubbio, quindi, può esservi circa il fatto che la (B) S.p.a. fosse custode dei locali ove esercitava la propria attività commerciale.
Circa il secondo requisito per l’applicazione della responsabilità custodiale, e cioè il nesso causale rappresentato dalla derivazione del danno dalla cosa, si osserva che il danneggiato, secondo la regola generale in tema di responsabilità extracontrattuale, ha ampiamente dimostrato che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta o assunta dalla cosa, in ragione di un processo in atto o di una situazione determinatasi, ancorché provocati da elementi esterni, che conferiscano cioè alla cosa quella che in giurisprudenza si è a volte indicata come “idoneità al nocumento”.
Non è invece richiesta anche la prova dell’intrinseca dannosità o pericolosità della cosa medesima, qualità viceversa rilevante per la diversa fattispecie prevista dall’art. 2050 c.c. e ciò perché tutte le cose, anche quelle normalmente innocue, sono suscettibili di assumere ed esprimere potenzialità dannose, per un loro dinamismo intrinseco o per l’insorgenza esterna di agenti dannosi.
Ne deriva che la responsabilità ex art. 2051 c.c. integra, come è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità e di merito, un’ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva, che trova piena giustificazione in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode.
Consegue che, in aderenza all’inequivoco disposto letterale della norma, tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell’inizio del rapporto di custodia.
Dunque, il profilo del comportamento del responsabile è di per sé estraneo alla struttura della normativa; né può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza nella custodia, giacché il solo limite previsto dall’articolo in esame è l’esistenza del caso fortuito, non l’assenza di colpa, tanto che la dottrina parla al riguardo di “rischio da custodia”, più che di “colpa nella custodia”. Ancorare la responsabilità ex art. 2051 c.c. alla presenza di una colpa del custode, e non già all’assenza di caso fortuito, sarebbe quindi un vero e proprio “errore di prospettiva”, come osservato da acuta dottrina.
Pertanto e con riferimento all’onere della prova, all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo; il convenuto, per liberarsi, dovrà invece provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
La ratio dell’accollo del costo del danno, non è allora la colpa, ma un criterio oggettivo, che tuttavia rimane fuori dalla norma. In altre parole, al custode si imputa la responsabilità, giacché è al soggetto che trae profitto dalla cosa, secondo il brocardo cuius commoda eius et incomoda, che deve addebitarsi la responsabilità.
E’ però comunque certamente applicabile, in caso di responsabilità custodiale, la regola posta dall’art. 1227 co. 1 c.c., che prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato, proporzionalmente all’incidenza causale di tale colpa sull’evento dannoso (ex plurimis, cfr. Cass. n. 21328/2010, Cass. n. 9546/2010, Cass. n. 1002/2010, Cass. n. 22807/2009, Cass. n. 11227/2008).
Ciò avviene, secondo la più recente ed accorta impostazione dogmatica, non tanto in virtù del principio di autoresponsabilità postulato dalla tradizionale dottrina per imporre ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza e per indurli a contribuire, insieme con gli eventuali responsabili, alla prevenzione dei danni che potrebbero colpirli; quanto piuttosto per il citato principio di causalità, per cui al danneggiante non può farsi carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile.
Procedendo ora all’applicazione dei suesposti principi alla fattispecie odierna, deve osservarsi come l’istruttoria orale abbia comprovato che il pavimento era sì pulito ed asciutto (cfr. deposizione testi … e …, entrambi all’epoca dei fatti dipendenti di parte convenuta, che hanno soccorso l’attore poco dopo la caduta, avvicinandosi a lui); ma vi era caduto sopra un chicco d’uva (entrambi i testi menzionati hanno riferito di averlo visto in terra, “spiaccicato”). Altro teste ha confermato di aver visto cadere l’attore “in un punto poco distante dal banco della frutta e verdura” (si veda la deposizione del teste …).
Non è allora revocabile in dubbio il fatto che la presente pronuncia possa essere resa sulla base dell’applicazione dell’art. 2051 citato, avendo parte attrice dato prova dell’esistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia (il supermercato) ed il danno arrecato a terzi (l’occorso sinistro).
Alla luce di quanto detto, spettava a parte convenuta, per ottenere il rigetto della domanda e resistere ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, provare l’esistenza del caso fortuito. Ciò che parte convenuta non ha fatto. Ed invero – diversamente da quanto si legge in comparsa conclusionale – gli esiti della prova testimoniale non hanno consentito di appurare che il pavimento fosse stato pulito poco prima del fatto, sì da potere, in ipotesi, ricondurre a caso meramente fortuito la caduta sul medesimo di un chicco d’uva; le deposizioni rese dai testi … e …, sul punto, appaiono infatti contraddittorie (la prima ha riferito che il pavimento era stato lavato “poco prima”, “non oltre un quarto d’ora prima del fatto”, mentre il secondo ha riferito che il pavimento “non era stato lavato da poco”).
Nemmeno sussistono gli elementi, nella fattispecie, per ritenere sussistente un concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c., poiché nulla è stato dedotto (né tanto meno provato) che consenta di ipotizzare la certa visibilità del chicco d’uva sul pavimento, e dunque, un difetto di diligenza in capo all’attore, che avrebbe potuto accorgersene ed evitare la caduta.
In ordine al danno non patrimoniale subito dall’attore, ha convincentemente spiegato il CTU, con motivazione condivisibile, nemmeno contestata dalle parti, dalla quale la scrivente non ha motivo di discostarsi in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, che le lesioni subite dal (A) consistono nel 2,5% di danno biologico permanente, in 10 giorni di ITT, in 20 giorni di ITP al 50%, in 15 giorni di ITP al 25% (cfr. pag. 5 della perizia a firma della dott.ssa …).
Pertanto, sulla base dei parametri liquidatori elaborati dal Tribunale di Milano aggiornati all’attualità (si vedano, in punto di non estensibilità dei criteri di cui all’art. 139 Cod. Ass. a lesioni diverse da quelle derivate dalla circolazione stradale, Cass. n. 12408/11 e Cass. n. 13982/15) e tenuto conto dell’età del danneggiato al momento del sinistro (anni 59), spetta all’attore un complessivo risarcimento per danno non patrimoniale, comprensivo delle sofferenze biologiche e morali (alla luce dei noti arresti giurisprudenziali in punto di onnicomprensività della figura del danno non patrimoniale), di Euro. 4.483,00 (ed in particolare, Euro. 2.203,00 per danno biologico permanente; Euro. 960,00 per ITT, Euro. 960 per ITP al 50% ed Euro. 360,00 per ITP al 25%). Nulla compete a titolo di personalizzazione in aumento, difettando specifica deduzione di parte su particolari sofferenze aggiuntive rispetto a quelle ordinariamente connesse a lesioni quali quelle riscontrate.
Circa invece il danno patrimoniale, le spese sanitarie documentate per Euro. 401,81 sono state ritenute congrue dal CTU, sicché la somma complessivamente dovuta al danneggiato ammonta ad Euro. 4.884,81 (=4.483 + 401,81).
Alla detta somma, liquidata in via equitativa e calcolata all’attualità, pertanto non soggetta a rivalutazione, vanno aggiunti gli interessi compensativi, da calcolarsi secondo il criterio di cui alla nota sentenza Cass. n. 1712/95, dunque non sugli importi liquidati all’attualità bensì sulla somma devalutata, in base agli indici ISTAT, al momento del fatto e rivalutata anno per anno a partire dalla data della domanda fino alla data della pubblicazione della presente sentenza, oltre agli interessi al tasso legale, da calcolare, sulla somma liquidata all’attualità, dalla data della pubblicazione della presente sentenza a quella della estinzione dell’obbligazione risarcitoria.
Tenuto conto che la somma spettante all’attore non supera la franchigia prevista nella polizza assicurativa prodotta in atti, va condannata al pagamento la sola parte convenuta.
Non vi è motivo per derogare alla regola della soccombenza in tema di spese di lite che, liquidate come da dispositivo, sono quindi poste a carico della parte convenuta soccombente. Nella liquidazione degli onorari, peraltro, deve tenersi a mente che, trattandosi di accoglimento solo parziale della domanda, lo scaglione di riferimento è quello relativo al decisum, non già al disputatum (Cass. Sez. Un. n. 19014/2007).
Anche le spese di CTU, nella misura di cui all’anticipo disposto all’udienza del 12.06.13, non avendo successivamente depositato il CTU separata nota spese, sono da porre a carico della parte convenuta.
La chiamata in causa andrà, infine, condannata a manlevare la convenuta delle sole spese legali (che comprendono, come noto, anche quelle di CTU), alla luce dell’art. 3.2 delle Condizioni di Assicurazione, che con specifico riguardo alla gestione delle vertenze non pone limiti di franchigia.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da (A), con atto di citazione notificato il 9.05.11, nei confronti di (B) S.p.a., con la chiamata in causa di (C) S.p.a., ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1) In accoglimento della domanda attorea, dichiara tenuta e condanna la (B) S.p.a. al pagamento, in favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di Euro. 4.884,81, oltre interessi compensativi da calcolarsi come indicato in parte motiva ed oltre agli interessi al tasso legale dalla data della presente decisione fino al saldo.
2) Condanna la (B) S.p.a. a rifondere all’attore le spese di lite, che liquida in complessivi Euro. 2.754,00, comprese le spese ed oltre accessori di legge.
3) Pone definitivamente a carico della (B) S.p.a. le spese di CTU, nella misura di cui all’anticipo disposto all’udienza del 12.06.13.
4) In parziale accoglimento della domanda di manleva proposta dalla convenuta nei confronti della chiamata in causa, dichiara tenuta e condanna quest’ultima a rifondere alla (B) S.p.a. le spese di lite di cui ai punti 2) e 3).
Così deciso in Perugia, il 19 ottobre 2015.
Depositata in Cancelleria il 27 novembre 2015.