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Buca sul marciapiede: chi paga i danni

Se non esiste insidia e trabocchetto non esiste la responsabilità dell’amministrazione proprietaria dell’area, e se il pedone non è attento (ossia diligente e prudente) è punito per questa disattenzione.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte d’Appello di Lecce – sede distaccata di Taranto n. 45/2016 che percorre un costante indirizzo giurisprudenziale in un caso di infortunio a causa di una buca presente sul marciapiede.

In breve riepilogo le motivazioni della corte di Appello che scaricano la responsabilità sul ragazzo “disattento”:

Chi s’infortuna a causa della caduta in una buca non ha diritto al risarcimento se:

– quella strada la conosce bene poiché la percorre spesso

– se il tratto di strada al momento dell’incidente si presenta illuminato e dunque visibile

– se lo stesso adolescente ammette di essere spesso distratto

– se nel referto medico compilato dopo la caduta non ne viene indicata la causa

La giurisprudenza ha chiarito, in passato, che solo le insidie o i trabocchetti possono essere oggetto di risarcimento: si tratta, in pratica, di tutte quelle situazioni di pericolo non facilmente visibili con l’ordinaria diligenza. Il che potrebbe essere sintetizzato in questo modo: tanto più è grande ed evidente la buca, tanto più è illuminato il tratto di strada, tanto meno possibilità di ottenere il risarcimento ci sono posto che l’incidente deve considerarsi causato dal comportamento imprudente del pedone.

Il giudice di Appello dunque ha confermato la pronuncia di primo grado ricordando che nella responsabilità per danni causati dalle cose in custodia, ex art. 2051 c.c., “l’attore che agisce ha l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte d’Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto

in persona dei magistrati

1) Dr. Riccardo Alessandrino – Presidente

2) Dr. Ettore Scisci – Consigliere

3) Dr. Marina Cosenza – Consigliere relatore

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 77 del ruolo generale anno 2013, riservata per la decisione nell’udienza del 16.10.2015,

tra

Ma.So., rappresentata e difesa dall’avv. Al.Si.;

– APPELLANTE –

e

Comune di Crispiano, rappresentato e difeso dall’avv. Gr.Ca.;

– APPELLATO –

 

e

Condominio di via (…), in Crispiano (TA), rappresentato e difeso dall’avv. Pa.Ta.;

– APPELLATO –

I difensori delle parti concludevano come da verbale di udienza del 16.10.2015.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, Ma.So. interponeva appello avverso la sentenza emessa dal Giudice monocratico presso il Tribunale di Taranto il 9.7.2012, con cui era stata rigettata la domanda risarcitoria proposta da essa appellante per i danni riportati in data 23.5.2005, a seguito di caduta in una buca presente sul marciapiede della via (…) in Crispiano.

Si costituivano e resistevano il Comune di Crispiano e il Condominio dello stabile sito in Crispiano, alla via (…).

La causa era riservata per la decisione all’udienza del 16.10.2015, sulle rassegnate conclusioni e previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il gravame si censura la sentenza nella sua interezza, per avere il giudice non correttamente valutato le norme applicabili e le risultanze istruttorie. L’appello è infondato. L’odierna appellante così descriveva il sinistro nell’atto di citazione: “in data 23.05.2005, alle ore 22,00 circa, la signora Ma.So. percorreva la via (…), in direzione del ponte “(…)”, allorquando inciampava e cadeva rovinosamente in una profonda buca, presente sul marciapiede della predetta via (…), che rappresenta una vera e propria insidia”.

Nel referto del P.S. del nosocomio SS. Annunziata non era indicata alcuna causale del sinistro, nonostante vi sia l’obbligo di segnalazione a carico dei sanitari qualora esso possa astrattamente configurare un reato; nel referto del presidio ospedaliero Pagliari di Massafra, ove la Ma. si recava il successivo 31.5.2005, per poi ricoverarsi il giorno seguente e subire intervento di osteosintesi, la causa della caduta era indicata come “accidentale”, come tale ribadita in cartella clinica. Appare strano che l’odierna appellante non abbia riferito ai sanitari che l’hanno avuta in cura di essere caduta per una “insidia stradale”. La predetta, nel corso dell’interrogatorio formale reso all’udienza dell’I.4.2011, affermava: “(…) Abito non tanto lontano dal civico 16 di via (…). Io abito in via (…). Ho percorso molte volte quella strada perché mi porto con le amiche in villa. Percorrendo tale via, tuttavia, non ho mai fatto caso alla presenza del tombino in questione. (…) L’illuminazione pubblica al tempo dell’incidente era scarsa; ora è più viva ed hanno anche dotato la via pubblica di un faro posizionato sull’altro marciapiede rispetto a quello da me percorso al tempo dell’incidente. (…) Al tempo dell’incidente non vi era illuminazione condominiale innanzi al civico 16 di via (…); ora l’illuminazione esiste” (…) Posso dire che il tombino è posizionato innanzi al portone e sul marciapiede di via (…), 16. (…) Il pozzetto era pieno di carta ma non coperto dal tombino. Mentre camminavo non ho fatto caso. Quando cammino non guardo a terra. Era pure una festa pertanto stavamo scherzando e ridendo”.

Il teste Sg.Fr. ha affermato che: “L’illuminazione era proprio quella, posso dire proprio così, che emerge dalle foto allegate al fascicolo del condominio”. Il teste Ma.An. ha riferito: “Non ricordo se sopra il portone in corrispondenza del tombino vi era illuminazione. Ricordo che l’illuminazione pubblica era fioca” Il teste Serio sul punto dichiarava: “Via (…) da sempre è dotata di pubblica illuminazione. (…) Il portone è illuminato da luce azionata da un timer”. Il teste Co. (dipendente comunale), affermava: “I luoghi sono illuminati così come emerge dalle foto che mi mostrate ed allegate al fascicolo del condominio. Preciso che l’impianto elettrico è stato realizzato circa 18 anni orsono; esso è tuttora funzionante ed il faro che si vede di fronte al portone d’ingresso dello stabile di via (…), 16 fu realizzato e posto in opera dal Comune. “Il teste Ar.Gi. confermava che il portone in questione è dotato di un faro composto da due tubi fluorescenti, aggiungendo. “Posso dire che almeno un tubo è sempre funzionante”.

Le risultanze istruttorie, pertanto, depongono complessivamente per una caduta in un luogo ben illuminato, per come è dato peraltro riscontrare dalle fotografie allegate dal condominio appellato. Circa la responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, con riferimento all’art. 2051 c.c. (in cui la fattispecie bene può inquadrarsi), il consolidato orientamento della S. C. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto, non assume rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo comunque sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l’accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all’intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004). L’attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. n. 858/2008; 8005/2010; 5910/11). La sentenza impugnata ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati. Condivisibilmente ha ritenuto non provato il nesso eziologico tra la cosa in custodia (tombino) e la caduta della ricorrente; essa va ascritta, infatti, a negligenza di quest’ultima, giacché ella: a) abitava vicino al luogo del sinistro, che pertanto doveva esserle familiare; b) incedeva senza guardare per terra, distratta dalla compagnia; c) non denunciava la caduta nel tombino ai sanitari che la prendevano in cura.

Deve ribadirsi che, nel caso in cui l’evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un’ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279, cit.; v. anche Cass. n. 21727/2012). La Suprema Corte, in relazione all’ipotesi di responsabilità gravante sul custode, ha affermato che il comportamento colposo del danneggiato può – secondo un ordine crescente di gravità – atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilità del custode (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 04/10/2013, n. 22684 in fattispecie analoga; v. sentenza 12 luglio 2006, n. 15779).

Alla luce di queste premesse, la sentenza impugnata resiste alle censure prospettate. Infatti, la Ma., appena quindicenne all’epoca dell’occorso, pertanto agile e dotata di buoni riflessi, era caduta in zona ben illuminata lungo un percorso conosciuto, data la vicinanza della sua abitazione al luogo teatro del sinistro.

La caduta in una situazione del genere può ricondursi alla esclusiva responsabilità del pedone, ovvero non si deve ritenere di necessità “cagionata dalla cosa in custodia” (per riprendere la formula dell’art. 2051 cod. civ.) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 999 del 2014).

Pur volendo esaminare la fattispecie sotto il profilo dell’insidia, ex art. 2043 c.c., deve rilevarsi che la stessa, risultando insistere su un tratto di strada ben conosciuto dalla danneggiata, per sua stessa ammissione adusa a camminare senza guardare per terra e tenendo conto che la caduta si è verificata in luogo adeguatamente illuminato, avrebbe potuto essere preavvistata dal pedone o comunque affrontata con maggiore prudenza, con l’uso di quella normale attenzione che suole e deve riporsi nell’incedere. Per insidia si intende, infatti, quella situazione pericolosa, fonte di danno, non riconoscibile e prevedibile da parte di una persona di ordinaria diligenza. Nella specie, la caduta da cui sono derivati i danni sarebbe stato possibile evitare adottando la particolare attenzione dovuta “nell’uso ordinario e diretto del bene demaniale, per salvaguardare la propria incolumità” (C. Cost. 156/1999). Conclusivamente, l’appello va rigettato.

Le spese di questo grado seguono la soccombenza e vengono liquidate, secondo i parametri ministeriali 2014, disciplinati dal DM 55/2014, nella misura di cui in dispositivo, in ragione del valore della controversia e dell’attività svolta.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e conclusione, così provvede:

  1. rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
  2. condanna l’appellante alla rifusione delle spese di questo grado in favore del Comune di Crispiano e del Condominio di via (…), in Crispiano, liquidate in complessivi Euro 1.322,30 per ciascuno, oltre spese forfetarie al 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Taranto il 15 gennaio 2016.

Depositata in Cancelleria l’1 febbraio 2016.