Giurisprudenza

Spese non documentate sul c/c: sono evasione – Sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012

Ente Giudicante: Corte di Cassazione
Procedimento: Sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012

Spese non documentate sul c/c: sono evasione

Le spese rintracciabili dal conto corrente bancario dell’azienda sono sempre imponibili se non documentate. Il fisco può infatti considerarle come ricavi in nero. Così stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012, con la quale ha respinto il ricorso congiunto dei soci e della società contro un accertamento, rispettivamente Irpef e Iva, scattato in seguito a delle verifiche sul conto corrente bancario aziendale.

La Commissione tributaria provinciale e la Commissione tributaria regionale avevano convalidato l’atto impositivo. Contro la doppia conforme di merito gli imprenditore e l’azienda (con ricorso congiunto) hanno presentato gravame alla Suprema corte ma senza successo. Nell’atto depositato al Palazzaccio la difesa ha lamentato la contraddittorietà di entrambe le decisioni di merito su un punto decisivo del giudizio e cioè sul riconoscimento dei prelevamenti bancari quali costi di esercizio deducibili salvo poi sommarli ai ricavi.

Con questa importante sentenza, la sezione tributaria ha dunque segnato una stretta sugli accertamenti fiscali predisposti in seguito a verifiche presso l’istituto di credito. Scrivono in particolare gli Ermellini senza mezze misure,«anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, la società contribuente non è stata in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate».

Questo risponde al principio generale per cui «le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti, in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie».  Ciò anche perché la presunzione legale relativa posta dal decreto del presidente della repubblica n. 600 del 1973, articolo 32 costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova.

Sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

R.G.N. 12068/2010
Cron. 4688
Ud. 14/03/2012

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARIO CICALA – Presidente
Dott. MICHELE D’ALONZO – Consigliere
Dott. ANTONINO DI BLASI – Consigliere
Dott. DOMENICO CHINDEMI – Rel. Consigliere
Dott. STEFANO OLIVIERI – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso 12068-2010 proposto da:

I. & C. SAS in persona del legale rappresentante pro tempore, D.P., D.A., elettivamente domiciliati in ROMA VIA RUFFINI 2/A, presso lo studio dell’avvocato SANTINI CLAUDIO, rappresentati e difesi dall’avvocato COMELLA ANTONIO con studio in CASERTA VIA RENELLA 32, (avviso postale), giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– resistenti con atto di costituzione –

avverso le sentenze da n. 185/2009 a n. 196/2009 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositate il 15/07/2009, sentenze n. 104, 105 e 106/2009 depositate il 13/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/03/2012 dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UMBERTO APICE, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

Con sentenza n. 104/18/09, 105/18/09/ 106/18/09, tutte depositate il 13/5/2009 la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che, in relazione agli anni 2001, 2002 e 2003 aveva, invece, ritenuto fondato il ricorso del I. & C. srl avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito ai fini Irap e Iva rilevando una maggiore percentuale di carico, l’omessa contabilizzazione di ricavi, desunti anche dalle risultanze dei controlli bancari.

Con sentenze 190/18/09, 185/18/09, 195/18/09, 196/18/09, 196/18/09, 186/18/09, 189/18/09 relative al socio Leone Patrizia e 187/18/09, 188/18/09, 191/18/09, 192/18/09, 193/18/09, 194/18/09, relative al socio L.A., tutte depositate il 15/7/2009, veniva rigettata la richiesta di sospensione del processo a carico dei soci in attesa dell’esito della decisione definitiva sulla società, dichiarandosi che il reddito di partecipazione dei soci venisse determinato per quote sulla base del reddito assegnato alla società.

Proponevano ricorso unificato per cassazione la società contribuente avverso le tre sentenze pronunciate nei suoi confronti e i soci contro le 12 sentenze emesse nei loro confronti, deducendo i seguenti motivi:

a) contraddittorietà delle sentenze su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360, numero cinque, c.p.c. avendo la Commissione regionale riconosciuto i prelevamenti bancari quali costi di esercizio deducibili salvo poi sommati ai ricavi e detrarli con una surrettizia sommatoria tra le due componenti;

b) falsa applicazione di norme di diritto, ex. art. 32 d.p.r. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., ritenendo che, essendo stato riconosciuto al valore dei prelevamenti la qualificazione di costo giustificato, tale valore non poteva mutare valenza e sommarsi ai ricavi costituiti da versamenti non giustificati.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente nel giudizio di legittimità, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’articolo 370, comma uno, c.p.c..

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 14/3/2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

1) Deve, preliminarmente, ritenersi ammissibile nel giudizio tributario il ricorso unitario cumulativo ove la contestazione dell’Ufficio si fondi su questioni di diritto, e non di fatto, comuni ai contribuenti, cosicché il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni appaia in concreto ultroneo. (Cass. 27 ottobre 2010 n. 21955).

Poiché nella fattispecie, i provvedimenti impugnati, pur formalmente autonomi, si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti di più contribuenti, che versando in un’analoga situazione muovono identiche contestazioni, può ritenersi che la definizione delle questioni comuni abbia carattere pregiudiziale rispetto alla decisione di tutte le cause, così da consentire l’ammissibilità, nel processo tributario, di un ricorso al tempo stesso collettivo (proposto da più contribuenti) e cumulativo (nei confronti di più atti impugnabili), suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta (cfr Cass. SU. 16/02/2009 N. 3692).

La possibilità di ricorso cumulativo, assicura in concreto il principio di cui all’art. 24 Cost. rendendo economicamente possibile la tutela in giudizio dei diritti, oltre che quello della ragionevole durata del processo in quanto è evidente che il numero dei giudizi influisce sulla loro durata (cfr Cass. 29 marzo 2011 n. 7159).

Trattasi dunque di cause connesse che possono essere riunite ai sensi dell’art. 274 c.p.c., (stesse parti, stesse questioni di fatto e di diritto) anche e al fine prevenire il rischio di contrasto sostanziale di giudicati, posto che la riunione non comporta alcun ritardo nella trattazione.

I ricorsi dei soci, nel presente giudizio, vanno riuniti a quelli della società, anch’essi riuniti per connessione soggettiva, in ragione del vincolo di pregiudizialità necessaria che si ricava dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5. Infatti, nella specie, i soci non prospettano tesi difensive autonome rispetto a quelle prospettate dalla società. Si tratta dunque di cause inscindibili, connesse per vincolo di consequenzialità – pregiudizialità necessaria, che vanno decise unitariamente, in ossequio al principio, affermato da questa Corte, secondo il quale “ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria (oggi l’Agenzia delle Entrate) l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1” (Cass. SS.UU. n. 1054/2007).

2) I motivi di ricorso vanno trattati unitariamente, stante la loro connessione, anche se denunciano vizi differenti (violazione di legge e vizio di motivazione).

Le censure vanno disattese.

La Commissione regionale ha rilevato che l’ufficio ha fondato, con l’atto di accertamento, la rettifica del reddito solo sulla base delle movimentazioni bancarie, prescindendo dalla maggiore percentuale di carico e dalle quote di ammortamento.

Le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti; in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass. 17/6/2008, n. 16341).

La presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova.

La motivazione dei giudici d’appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un’adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavabile dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria.

Anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stato in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate.

Appare coerente e logica la valutazione della Commissione regionale che ha ritenuto corretto detrarre dall’importo dei versamenti e prelievi bancari per complessive £. 388.786.000, riconoscendo le spese e costi non contabilizzati, la somma di £.172.665.000, tassando quali ricavi varie versamenti bancari di £. 212.733.000 che non hanno trovato riscontro in contabilità.

Non è oggetto di contestazione l’importo delle spese e costi non contabilizzati, ritenuti pari ai prelevamenti, indipendentemente dalla circostanza della corrispondenza di tale importo ai costi relativi ad acquisti non documentati che devono considerarsi, come già evidenziato, ricavo.

Vanno quindi respinti i ricorsi.

Nulla sulle spese stante la mancata costituzione dell’agenzia intimata.

P.Q.M.

Respinge i ricorsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 14 marzo 2012.

Depositato in cancelleria il 23 mar 2012