Sentenza di non luogo a procedere in caso di allontanamento volontario dell’indagato – Sentenza del 29 marzo 2010
Ente Giudicante: Giudice di Pace Circondariale di Bologna
Procedimento: Sentenza del 29 marzo 2010
Sentenza di non luogo a procedere in caso di allontanamento volontario dell’indagato
Il comma 5° dell’art. 10 bis D.lgs. 286/98 prevede espressamente che il giudice, una volta acquisita la notizia dell’avvenuta esecuzione dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, emette sentenza di non doversi procedere.
Il legislatore ha dunque previsto una speciale causa di non procedibilità dell’azione penale per avvenuta esecuzione dell’espulsione, da cui deriva l’obbligo di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. in presenza di una causa di non punibilità.
Secondo la sentenza qui in commento nell’operatività di tale norma rientra sia l’ipotesi di esecuzione coattiva dell’espulsione sia quella di allontanamento volontario da parte del trattenuto, poiché una diversa interpretazione configurerebbe violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento, soprattutto se si considera la condotta meno grave dello straniero che spontaneamente si allontana dal territorio dello Stato rispetto a quella di chi viene allontanato coattivamente o a mezzo di un ordine o di intimazione.
Osserva inoltre il Giudice come l’ipotesi di allontanamento volontario risponda alla medesima ratio di quella perseguita dal legislatore con l’introduzione di tale causa di non procedibilità, consistente nella finalità deflattiva, al fine di evitare la celebrazione di un processo in tutti i casi in cui la presenza dell’imputato non sia possibile in quanto si trovi nel suo paese di origine.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL GIUDICE DI PACE CIRCONDARIALE
in funzione di Giudice per le Indagini Preliminari, nella persona dell’Avv. Massimo Libri ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
XXXX TIZIO, nato in Ghana,… 1987, s.f.d., ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale dell’Avv. Ax Bxxx;
rappresentato e difeso dall’Avv. Ax Bxxx, del foro di Bologna, con studio in Bologna, …, difensore d’ufficio;
INDAGATO
della contravvenzione prevista e punita dall’art. 10 bis. D.lgs. 286/98 perché straniero si tratteneva nel territorio dello Stato italiano in violazione delle disposizioni dello stesso Testo Unico. Accertato in Bologna, Aeroporto, il 04.02.2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A seguito di richiesta della polizia giudiziaria, il Pubblico ministero autorizzava formalizzava istanza per la pronuncia di sentenza ai sensi del comma 5° dell’art. 10 bis D.lgs. 286/98 per avvenuto allontanamento volontario dell’indagato dal territorio dello Stato.
Preliminarmente ad ogni valutazione in ordine al merito di tale istanza occorre valutare la procedibilità della stessa.
Il comma 5° dell’art. 10 bis D.lgs. 286/98 prevede espressamente che il giudice, una volta acquisita la notizia dell’avvenuta esecuzione dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, emette sentenza di non doversi procedere.
Ad una prima lettura della norma, questa appare presupporre come condizione necessaria l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico ministero con conseguente inapplicabilità della stessa in fase di indagini preliminari.
In senso favorevole ad un’interpretazione estensiva della norma si è pronunciata la Suprema Corte – chiamata a decidere sul ricorso avverso l’ordinanza di rigetto di un’istanza di emissione di sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 13 co. 3 quater D.lgs. 286/98 presentata in fase di indagini preliminari – la quale ha concluso affermando la legittimità di tale istanza e della conseguente sentenza (1.).
Secondo la Suprema Corte non si pone in contrato con i principi generali del sistema processuale la decisione del legislatore di introdurre una modifica dello stesso nel senso di consentire l’emissione di una sentenza di non doversi procedere anche prima dell’esercizio dell’azione penale (2.).
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie.
In primo luogo in quanto un’interpretazione restrittiva in ordine all’applicabilità del disposto del comma 5° dell’art. 10 bis D.lgs. 286/98 porterebbe alla non ragionevole conseguenza di discriminare la posizione di chi ha acquisito la qualità di imputato il quale, beneficierebbe dell’istituto in esame, rispetto alle persone sottoposte ad indagini preliminari le quali dovrebbero necessariamente attendere l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico ministero (3.).
Inoltre un’interpretazione restrittiva della norma si porrebbe in contrasto con la ratio legis della stessa la quale va ravvisata nell’esigenza di evitare la prosecuzione dell’esercizio dell’azione penale nei confronti di un imputato che ha abbandonato il territorio dello Stato (4.).
Infine, escludere l’applicabilità dell’istituto in esame alla fase delle indagini preliminari avrebbe come effetto quello di determinare un’abnorme situazione di ‘stallo’. Infatti, in caso di esecuzione dell’espulsione prima dell’autorizzazione alla citazione in giudizio, il Pubblico ministero, da un lato, non potrebbe richiedere l’archiviazione non sussistendone i presupposti, in presenza di una fattispecie non rientrante tra quelle previste dagli artt. 408, 411 e 415 c.p.p. e dall’altro non potrebbe esercitare l’azione penale, stante la contraddittorietà di un provvedimento di citazione in giudizio reso al solo fine di ottenere l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere (5.).
L’istanza è inoltre procedibile anche sotto il profilo della legittimità della stessa alla luce della speciale procedura di cui agli artt. 20 bis e ter D.lgs. 274/00.
I due procedimenti introdotti con la L. 94/2009, configurano due moduli di introduzione al giudizio in cui è assente la fase delle indagini preliminari. Il Pubblico ministero, però, rimane dominus delle indagini preliminari stante la facoltà, espressamente prevista rispettivamente dal comma 3° dell’art. 20 bis e dal comma 2° dell’art. 20 ter D.lgs. 286/98, di richiedere l’archiviazione o, ai sensi dell’art. 25 co. 2 D.lgs. 274/00 richiamato dai medesimi commi, ove ritenga non sufficienti le investigazioni della Polizia giudiziaria, di respingere la richiesta di autorizzazione alla presentazione immediata o alla citazione contestuale.
In tal modo il procedimento regredisce alla fase delle indagini di cui agli artt. 11 e ss D.lgs. 274/00.
L’istanza formulata dal Pubblico ministero è pertanto legittima e procedibile.
Passando al merito dell’istanza presentata, occorre individuare la fattispecie di reato contestata.
Sul punto va preliminarmente rilevato che il legislatore ha definito gli elementi costitutivi del fatto criminoso mediante l’utilizzo di elementi normativi giuridici, rinviando ad una norma diversa da quella incriminatrice – ovvero le disposizioni del D.lgs. 286/98 che disciplinano l’ingresso ed il soggiorno irregolare dello straniero, cittadino extracomunitario – per l’individuazione delle fattispecie di reato.
Conseguentemente al fine di garantire la tassatività della fattispecie occorrerà fare riferimento, in sede d’individuazione e valutazione della sussistenza del reato, alle ipotesi tipizzate dall’art. 13 co. 2 D.lgs. 286/98.
Per quanto attiene alla verifica della sussistenza della condotta tipica contestata all’indagato, ovvero l’ingresso illegale nel territorio dello Stato occorre rilevare che tale fattispecie si sostanzia in una condotta diretta ad eludere i controlli alla frontiera.
Pertanto tale ipotesi sussisterà in concreto sia nel caso in cui lo straniero faccia ingresso nel territorio dello Stato non sottoponendosi al controllo dei varchi Schengen, che nel caso in cui il medesimo straniero utilizzi documentazione falsa.
In entrambi i casi, infatti, si viola l’oggettività giuridica tutelata dalla norma che si concretizza nell’integrità delle frontiere dello Stato realizzata mediante la sottoposizione dello straniero ai controlli all’ingresso nei varchi appositamente istituiti (6.).
Sussiste nel caso di specie l’elemento materiale della condotta in quanto l’indagato ha fatto ingresso nel territorio dello Stato senza sottoporsi ai controlli di frontiera [cfr. relazione di servizio del 04.02.2010: “Si presentava nei nostri uffici il cittadino ghanese Xxxx Tizio nato il ….1987 in possesso di passaporto ordinario ghanese n. …. rilasciato dalle competenti autorità in data 03.10.2002, non in regola con le vigenti norme relative al soggiorno sul territorio nazionale”].
Per quanto attiene all’elemento soggettivo del reato questo sussiste nell’entità del dolo, avendo questi fatto ingresso nel territorio dello Stato senza utilizzare i varchi Schengen.
In assenza di cause di esclusione dell’antigiuridicità, si ritiene raggiunta la prova della sussistenza del reato contestato.
Sussiste nel caso di specie la speciale causa di non procedibilità di cui all’art. 10 bis D.lgs. 286/98.
Al comma 5° dell’art. 10 bis D.lgs. 286/98 il legislatore ha previsto una speciale causa di non procedibilità dell’azione penale per avvenuta esecuzione dell’espulsione, da cui deriva l’obbligo di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. in presenza di una causa di non punibilità.
Nell’operatività di tale norma rientra sia l’ipotesi di esecuzione coattiva dell’espulsione sia di allontanamento volontario da parte del trattenuto.
Diversamente opinando si configurerebbe una violazione dell’art. 3 Cost per disparità di trattamento, soprattutto se si considera la condotta meno grave dello straniero che, spontaneamente si allontana dal territorio dello Stato rispetto a quella di chi viene allontanato coattivamente o a mezzo di ordine o intimazione.
A tal riguardo si ritiene che, la circostanza che nella norma in esame non venga prevista espressamente l’ipotesi dell’allontanamento volontario, non costituisce di per sé motivo ostativo all’applicazione di tale causa di non procedibilità anche con riferimento a tale ultima fattispecie.
In primo luogo dal complesso tenore della norma non emerge la volontà del legislatore di creare un numerus clausus di casi, emergendo invece il carattere meramente descrittivo di tali ipotesi.
Inoltre l’ipotesi di allontanamento volontario risponde alla medesima ratio, di quella perseguita dal legislatore con l’introduzione di tale causa di non procedibilità, rispondendo a finalità deflattive, al fine di evitare la celebrazione di un processo in tutti i casi in cui la presenza dell’imputato non sia possibile in quanto si trovi nel suo paese di origine.
Infine un’applicazione della norma limitata unicamente alle ipotesi di allontanamento coattivo a mezzo della forza pubblica configurerebbe una violazione all’art. 3 Cost., in quanto condurrebbe ad applicare un trattamento più favorevole allo straniero che è stato allontanato coattivamente rispetto a colui il quale ha posto in essere una condotta collaborativa, decidendo di lasciare il territorio dello Stato volontariamente.
In una fattispecie analoga si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione la quale ha ritenuto applicabile la causa speciale di non procedibilità di cui al comma 3 quater dell’art. 13 D.lgs. 286/98 anche all’ipotesi, non prevista, del respingimento richiamando la ratio legis della norma (7.).
Ciò premesso, dall’istruttoria espletata è emersa la prova che l’indagato in data 30.11.2009 ha lasciato il territorio dello Stato [cfr. relazione ex art. 11 D.lgs. 274/00: “Si comunica che il nominato in rubrica al termine delle incombenze di rito, ha lasciato il territorio nazionale per raggiungere il proprio paese imbarcandosi sul volo AT diretto a Casablanca-Accra (Ghana) delle ore 19.45”].
Viene pertanto dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’indagato ai sensi dell’art. 10 bis co. 5 D.lgs. 286/98 per intervenuto allontanamento volontario dal territorio dello Stato.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Bologna, visti gli artt. 129 c.p.p. 10 bis co. 5 D.lgs. 286/98, dichiara non doversi procedere nei confronti dell’indagato per intervenuto allontanamento volontario dal territorio dello Stato.
Così deciso in Bologna, il 29.03.2010
Il Giudice di Pace
Avv. Massimo Libri
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(1.) cfr. Cassazione penale, Sez. I, Sent. n. 30465 del 04.05-13.07.2004: “Tutte le predette considerazioni portano ragionevolmente a ritenere che l’art. 13 comma 3 quater del D. Lg.vo 286/98 debba essere interpretato estensivamente, come consentito dal ricorso al criterio interpretativo della intenzione del legislatore, cioè al criterio logico previsto insieme a quello letterale dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, di cui al R.D. 16-3-1942 n. 262. In base alla ratio legis – da intendersi come lo spirito, la ragion d’essere della norma, la finalità sociale a cui essa è diretta – deve concludersi affermando che il legislatore minus dixit quam voluit”.
(2.) cfr. Cassazione penale, Sez. II, Sent. n. 44632 del 09-17.11.2004: “L’obiezione per la quale in tal modo si legittimerebbe ma emissione di sentenza di non luogo a procedere anche senza il preventivo esercizio dell’azione penale non è decisiva in quanto il legislatore ben può introdurre modifiche al sistema processuale e quindi consentire la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere in base ad una richiesta del p.m. diversa da quella di rinvio a giudizio o altre forme di promovimento dell’azione penale prevista dall’art. 405 c. 1 c.p.p.. Nel nostro sistema, infatti, – ai sensi dell’art. 1 del regolamento applicativo dell’art. 7 della convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo status delle forze armate – è possibile la pronuncia nella fase delle indagini preliminari e prima dell’esercizio dell’azione penale di una sentenza dichiarativa di rinuncia al diritto di priorità nell’esercizio della giurisdizione” e Cassazione penale, Sez. I, Sent. n. 30465 del 04.05-13.07.2004: “L’obiezione che in base a tale interpretazione si legittimerebbe l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere anche senza preventivo esercizio dell’azione penale appare superabile. Invero il legislatore ben può introdurre delle modifiche al sistema processuale e quindi consentire la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere in base ad una richiesta del Pubblico Ministero diversa da quella di rinvio a giudizio o da altra forma di promovimento dell’azione penale prevista dall’art. 405 comma 1 c.p.p. Peraltro il nostro sistema processuale già conosce, come rilevato dal ricorrente, un caso analogo, essendo possibile – ai sensi dell’art. 1 del regolamento relativo all’applicazione dell’art. 7 della Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo status delle loro Forze armate – la pronuncia, nella fase delle indagini preliminari e prima dell’esercizio dell’azione penale, di una sentenza dichiarativa di rinuncia al diritto di priorità nell’esercizio della giurisdizione”.
(3.) cfr. Cassazione penale, Sez. I, Sent. n. 30465 del 04.05-13.07.2004: “Interpretata in base al suo mero significato letterale, la norma comporterebbe l’irragionevole conseguenza che a beneficiare dell’espulsione e a sottrarsi così alla custodia cautelare, al processo e alla eventuale condanna, sarebbero soltanto gli stranieri imputati per i reati più gravi, per i quali è prevista l’udienza preliminare, e non anche quelli indagati per i reati più lievi, per i quali il Pubblico Ministero procede alla citazione diretta in giudizio”.
(4.) cfr. Cassazione penale, Sez. I, Sent. n. 30465 del 04.05-13.07.2004: “Invero la finalità dell’istituto dell’espulsione – in tutte le sue forme – è quella, già autorevolmente riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 62 del 10-24 febbraio 1994, “giustificata essenzialmente dall’interesse pubblico di ridurre l’enorme affollamento carcerario … e di allontanare dal territorio dello Stato stranieri sottoposti a procedimento penale…”. Se questa è la finalità che ha spinto il legislatore a rinunziare all’azione penale quando l’espulsione sia avvenuta e provata prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, deve ritenersi che il citato art. 13 comma 3 quater sia applicabile estensivamente, o almeno analogicamente, anche a tutti i casi in cui l’espulsione sia avvenuta e provata prima che si pervenga al giudizio” e Cassazione penale, Sez. II, Sent. n. 44632 del 09-17.11.2004: “La finalità della espulsione è quella chiarita dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 62 del 10/24 febbraio 1994 e cioè alleggerire la popolazione carceraria e allontanare dal territorio nazionale stranieri sottoposti a procedimento penale. Deve ritenersi, quindi che il citato articolo sia applicabile estensivamente o analogicamente, anche a tutti i casi in cui l’espulsione sia avvenuta e provata prima del giudizio”.
(5.) cfr. Cassazione penale, Sez. II, Sent. n. 44632 del 09-17.11.2004: “Il provvedimento impugnato (l’ordinanza del GiP di rigetto della richiesta di emissione di sentenza di non luogo a provvedere ex art. 13 co. 3 quater D.lgs. 286/98) deve ritenersi illegittimo alla stregua della interpretazione delle norme soprasvolte ed abnorme dal momento che provocherebbe una stasi del procedimento. Il pubblico ministero non potrebbe chiedere l’archiviazione, non ricorrendone la ipotesi, né potrebbe contraddittoriamente promuovere azione penale al solo fine di far emettere una sentenza di non luogo a procedere. (conforme a Cass. Sez. I 16/09/2004, 40386)” e Cassazione penale, Sez. I, Sent. n. 30465 del 04.05-13.07.2004: “Peraltro, il Pubblico Ministero che non ha ancora esercitato l’azione penale, in una delle forme indicate dall’art. 405 comma 1 c.p.p., non potrebbe neppure procedere alla richiesta di archiviazione, a fronte di un reato obiettivamente esistente, attribuibile all’indagato e per il quale non sarebbe applicabile la causa di improcedibilità prevista dal citato art. 13 comma 3 quater, cioè a fronte di un’ipotesi non rientrante tra quelle previste dagli artt. 408, 411 e 415 c.p.p. Il Pubblico Ministero, in conclusione, non avrebbe altra possibilità che esercitare l’azione penale, con la conseguenza che se l’esercita con citazione diretta in giudizio l’imputato perderebbe la possibilità di usufruire dell’espulsione e se l’esercita con richiesta di rinvio a giudizio si perderebbero inutilmente tempo ed energie per addivenire alla sentenza di non luogo a procedere, anche a prescindere dalla contraddizione intrinseca nel costringere il Pubblico Ministero a chiedere il rinvio a giudizio sapendo che si dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere”.
(6.) cfr. Cassazione Civile; Sez. 1; Sent. n. 13864 del 26.09-09.11.2001: “Pertanto, lo straniero che entri in Italia con l’inganno, data l’irregolarità dell’ingresso, devesi considerare entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, atteso che il termine “sottrarsi” non significa soltanto sfuggire ai controlli, come avviene nel caso di chi entri clandestinamente nel territorio nazionale, ma anche vanificare l’efficacia di tali controlli, aventi la finalità di impedire ingressi irregolari, giovandosi di un mezzo solo apparentemente legittimo”.
(7.) cfr. Cassazione penale, Sez. I, Sent. n. 29161 del 24.06-07.2008: “Una corretta interpretazione della norma che viene in rilievo, e cioè il D.Lgs. n. 286 del 1998, già citato art. 13, comma 3 quater e successive modifiche, consente di ritenere che il legislatore ha inteso, con tale norma, evitare la celebrazione di giudizi inutili ogni volta che il cittadino extracomunitario sia stato espulso dal territorio nazionale. La giurisprudenza di questa corte ha già più volte stabilito che la norma stessa, nonostante la sua infelice formulazione, che sembrerebbe far riferimento soltanto alla fase dell’udienza preliminare, possa e debba essere applicata anche in casi di citazione diretta da parte del pubblico ministero (tra le altre, sezione seconda, 9 novembre 2004; sezione prima 16 settembre 2004; sezione prima 4 maggio 2004). Non vi è alcuna ragione per non fare applicazione della stessa regola, sia pure in via analogica (ma è una analogia in bonam partem, che va a favore dell’imputato e che pertanto non può ritenersi preclusa) anche nel caso in cui non sia stato formalmente emesso un decreto di espulsione, perché il cittadino extracomunitario è stato semplicemente respinto alla frontiera”.