Rumori molesti: quali tutele?
a cura dell’avv.
Le immissioni di rumori sono diventate un problema sempre più sentito a causa dell’andare frenetico della vita cittadina e alle attività commerciali ed industriali i cui orari di lavoro si protraggono nel tempo oltre quelli che erano i normali orari delle attività.
Colui che ritenga di avere un danno alla salute derivante dalle immissioni rumorose altrui, può agire sia in sede civile, sia in sede penale ed anche in sede amministrativa chiedendo l’intervento delle autorità al fine di misurare i rumori ed inibire il protrarsi del disturbo (anche se nei fatti è risultato sempre piuttosto difficile convincere la Pubblica Amministrazione ad intervenire a tutela dei privati).
La tutela civile
Per quanto riguarda il codice civile le norme di riferimento sono l’articolo 844 e l’art. 2043. Il primo prevede una sorta di inversione dei diritti perché il comma 1 pone in risalto soprattutto il diritto del proprietario del fondo di usufruirne come meglio crede (e quindi gli si riconosce anche la possibilità di fare rumore) ponendo però alcune limitazioni. La norma infatti stabilisce che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo, calore, scuotimento o rumore provenienti dal fondo del vicino, tranne nel caso in cui le stesse superino i limiti della normale tollerabilità. In altri termini, fino a determinati livelli, le immissioni (e per quanto ci interessa, i rumori) si debbono sopportare.
Per poterci tutelarci dunque contro un vicino un po’ troppo rumoroso dobbiamo dimostrare innanzitutto che i rumori superino la normale tollerabilità e dunque che i rumori del vicino abbiano superato di 3 dB il rumore di fondo (se si verificano nelle ore notturne) oppure che abbiano superato di 5 dB il rumore di fondo (se si verificano di giorno).
Il secondo comma dell’art. 844 stabilisce inoltre che il giudice nel momento in cui è investito di una tale problematica deve valutare il caso anche contemperando le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e quindi deve tener conto della priorità di un determinato uso.
La priorità è stata intesa dalla Corte di Cassazione come il “preuso”: ad esempio chi acquista una villetta in una zona industriale deve poi aspettarsi possibili immissioni e il limite della tollerabilità è più alto rispetto ad una zona residenziale. A sfavore di chi subisce il danno anche la destinazione d’uso conosciuta al momento dell’acquisto della proprietà, ovvero se una persona acquista un immobile in una zona residenziale vicino ad un disco pub, non può dolersi se dallo stesso arrivano rumori. Ma anche in questo caso è sempre necessario valutare il caso concreto.
Chi infatti è proprietario di un’attività rumorosa come potrebbe essere quella di un disco pub, non può non tenere conto della necessità di adottare le necessarie cautele per evitare il propagarsi di rumori nelle proprietà dei vicini. L’uso di insonorizzazioni, la predisposizione di accorgimenti tecnici come quello della realizzazione del cosiddetto “tetto sonoro”, e l’utilizzo di sistemi di controllo e di limitazione della potenza degli impianti acustici, consentono in genere di evitare problemi con il vicinato.
Insomma anche se la legge tende a dare prevalenza dell’interesse legato all’attività economico/produttiva rispetto alle esigenze di quiete e di godimento di un proprietario che invece subisce le immissioni, ciò non toglie che l’assoluta assenza di cautele e di interventi diretti a contenere la rumorosità possa dare diritto a chi subisce le dimissioni a chiedere la cessazione dell’attività rumorosa e il risarcimento del danno.
Quali sono le azioni che si possono intraprendere per tutelarsi contro i rumori molesti?
Dal punto di vista della tutela, possono essere esercitate due azioni:
– l’azione inibitoria che è un tipo di azione diretta a impedire al proprietario del fondo da cui provengono le immissioni il perpetuarsi delle stesse. Questo può avvenire sia attraverso l’imposizione di un obbligo di cessare l’attività rumorosa sia attraverso l’imposizione di misure adatte a ridurre la rumorosità.
– l’azione risarcitoria sempre sul piano civilistico è possibile esercitare una normale azione di risarcimento del danno sulla base del principio generale contenuto nell’articolo 2043 del codice civile. Tale norma prevede il diritto al risarcimento nel caso di danno ingiusto derivante da fatto doloso o colposo altrui.
Sono diverse le voci di danno che possono essere richieste al responsabile. Non c’è soltanto il fatto stesso del disturbo alla quiete al riposo, ci possono essere anche dei danni alla salute giacché l’esposizione prolungata dei rumori, soprattutto se questo avviene nelle ore notturne, può anche creare dei danni permanenti alla salute psicofisica. In tal caso basterà dimostrare il nesso di causalità tra il danno subito e l’esposizione prolungata del rumore per ottenere anche un ristoro del danno.
Sia l’azione inibitoria sia quella risarcitoria possono essere anche proposte congiuntamente in un unico giudizio.
Le due domande sono quindi cumulabili e con un’unica azione si può chiedere la cessazione del disturbo e il risarcimento del danno patito.
Ovviamente se si intende richiedere anche il risarcimento del danno, chi esercita l’azione legale dovrà dimostrare da un lato di aver subito danni e che vi è un nesso di causalità tra tali danni e l’esposizione ai rumori. Allo stesso tempo dovrà dimostrare il superamento del limite della normale tollerabilità delle immissioni di rumore.
La tutela penale
Per quanto riguarda la tutela in sede penale, l’articolo 659 del codice penale nel primo comma sanziona sia il comportamento commissivo volto a produrre rumori molesti, sia il comportamento omissivo, ovvero il comportamento di chi non impedisce gli strepiti degli animali (ma ritengo possano essere inserite anche altre fonti), recando così danno al riposo e alle occupazioni delle persone.
La pena prevista è fino a tre mesi di arresto o un’ammenda fino a 309 euro. Il secondo comma invece prevede solo un’ammenda fino a 103 euro per chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità. Per questo reato non è necessaria la querela da parte dell’interessato perché è prevista la procedibilità d’ufficio. La persona offesa può costituirsi parte civile all’interno del processo penale e chiedere così anche in tale sede il ristoro dei danni.
Vale la pena chiarire che, ferma la possibilità di agire in sede civile, perché si possa configurare un reato è necessario che i rumori arrechino disturbo ad un numero indeterminato di persone. Non è sufficiente quindi che il disturbo alla quiete interessi un solo soggetto.
Il merito è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione ricordando che “non basta che i rumori disturbino i soli abitanti degli appartamenti di un condominio che si trovano ai piani immediatamente superiori o inferiori da quello in cui si propaga il rumore”.
La tutela amministrativa
In materia di rumori molesti deve poi essere considerata la legge quadro sull’inquinamento acustico ovvero la legge 447 del 1995. Tale legge ritiene che le immissioni rumorose provochino un danno alla salute, bene protetto dall’articolo 32 della Costituzione e per questo motivo all’articolo 9 stabilisce un potere di ordinanza in capo al Sindaco come ufficiale di governo. L’ordinanza può obbligare colui che provoca le immissioni a cessare immediatamente le stesse o a ridurne l’entità in modo da rientrare nella normale tollerabilità.
Per poter emettere questa ordinanza è comunque necessario l’intervento dell’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale (ARPA) che deve effettuare i rilievi tecnici per misurare l’entità dei rumori in decibel.
La legge prevede anche che i comuni adottino la divisione del territorio attraverso la zonizzazione acustica, uno strumento che stabilisce dei vincoli in base alla zona in cui ci si trova, ovviamente il limite di tollerabilità sarà più basso nella zona residenziale e più elevato nella zona industriale.
Grazie alla zonizzazione acustica sarà più facile per il giudice e per il Sindaco valutare di caso in caso se le immissioni superano la normale tollerabilità.