Opposizione al decreto ingiuntivo: a chi spetta l’onere di attivazione della domanda di mediazione?
La Suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sull’onere di attivazione della mediazione nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo ed in particolare sull’individuazione della parte processuale a cui spetti detto onere.
Ricordiamo sul punto che, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, il d.lgs. 28/2010 rinvia l’onere di attivazione della mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, ma non individua la parte processuale su cui incomba l’adempimento: sull’opponente o sull’opposto?
Fino ad oggi la giurisprudenza di merito si è divisa, chi ritenendo che l’opposizione a decreto ingiuntivo sia sostanzialmente una causa ordinaria a parti processuali invertite, con la conseguenza che il creditore opposto pur rimane attore sostanziale e spetti pertanto ad esso l’onere della condizione di procedibilità (cfr. ad es. Tribunale di Firenze 12.2.2015), chi ritenendo invece che al di là della valenza sostanziale l’opponente è e rimane attore (formale) e quindi incombe ad esso l’onere in questione (cfr. ad es, Tribunale di Pavia 12.10.2015).
Questo secondo orientamento è sembrato prevalere nelle corti di merito, tenuto conto di alcuni spunti processualcivilistici per cui, sempre a prescindere dalla natura sostanziale di “convenuto” dell’attore formale (secondo il noto orientamento della Cassazione, per cui cfr. tra i vari Cass. 85639/2011), all’attore opponente incomberebbero comunque diversi oneri di impulso e di mantenimento degli effetti procedurali dell’opposizione, da cui non si dovrebbe esimere di considerare appunto anche la condizione di procedibilità prevista dal d.lgs. 28/2010.
In questo quadro giurisprudenziale si è inserita la pronuncia della Corte di Cassazione 3.12.2015 n. 24629, con riferimento ad un caso di opposizione a decreto ingiuntivo per canoni di locazione (materia di mediazione “obbligatoria”), in cui l’invito ad esperire la mediazione era stato pronunciato dal giudice dopo i provvedimenti sulla provvisoria esecuzione.
Nel merito, non essendo stata esperita la procedura di mediazione, entrambi i gradi di giudizio avevano concluso per l’improcedibilità dell’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha seguito l’indirizzo tenuto sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello (di Torino), confermando che spetti all’opponente avviare la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale e quindi quale onere processuale da espletare per evitare la conferma del decreto ingiuntivo.
Gli Ermellini ricordano che la mediazione veste la primaria funzione di deflazione del contenzioso giudiziale e che pertanto spetta alla parte che introduce il giudizio (sebbene nella forma di attore solo formale, ma convenuto sostanziale) rispettare le esigenze di ragionevolezza e di efficienza del processo, il quale viene quindi visto e considerato come l’estrema soluzione che le parti hanno però l’onere di evitare per quanto possibile.
Nella considerazione della Suprema Corte, la mediazione diviene quindi non solo strumento alternativo al processo, bensì strumento privilegiato per la risoluzione delle controversie rispetto al quale il processo è e rimane solo l’extrema ratio.
Ciò sicuramente valga nelle materie oggetto di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 comma 1bis del d.lgs. 28/2010, ma anche in quelle altre controversie, non ricomprese nell’elenco di detta disposizione, per cui i Giudici riterranno comunque di disporre la mediazione nel loro potere di delega, ponendo quindi una condizione di procedibilità “in corsa” che potrà presentare un ulteriore effetto deflattivo del processo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Presidente
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 116/2014 proposto da:
(OMISSIS) SRL (OMISSIS), in persona dell’amministratore unico Sig. (OMISSIS), considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, in persona dell’A.U. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 946/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/05/2013 R.G.N. 1891/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2015 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) DI PATTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La (OMISSIS) srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza del 16.5.2013 con la quale la Corte d’Appello di Torino – in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti su ricorso della (OMISSIS) srl per il pagamento di canoni di locazione – aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione proposta per il mancato avvio della mediazione obbligatoria ai sensi del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5.
Resiste con controricorso la (OMISSIS) srl.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente.
Vero è che è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli articoli 353 e 354 c.p.c..
Nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dai citati articoli 353 e 354 c.p.c., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito.
Diversamente, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (S.U. 14.12.1998 n. 12541; da ultimo Cass. 29.1.2010 n. 2053; Cass. 25.9.2012 n. 16272).
Ma questo solo se la pronuncia abbia deciso anche nel merito in senso sfavorevole all’impugnante; situazione che non si è verificata nel caso in esame di pronuncia, solo in rito, sulla improcedibilità della opposizione.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione, falsa applicazione di norma di diritto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3): in particolare, violazione del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5. La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio.
La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale.
In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.
Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo.
Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione.
Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere.
Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta.
Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo.
E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore.
E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga.
La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice.
Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.
E’, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex articolo 653 c.p.c..
Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale.
Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.
Il motivo, quindi, non è fondato.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di omessa, insufficiente, e comunque contraddittoria, motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Il motivo è inammissibile perché aspecifico.
La ricorrente, al di là della critica, soltanto enunciata, non specifica, né riporta in ricorso, quali siano le parti della motivazione insufficienti, carenti o contraddittorie, né indica quali siano le ragioni della decisività degli errori motivazionali; vai a dire la loro rilevanza ai fini della decisione.
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese.
Sussistono le condizioni per l’applicazione del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso Compensa le spese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.