Contenziosi fiscali: la sentenza che annulla l’accertamento sulla società ha effetto anche nei confronti del socio
commento a cura del Cav. Franco Antonio Pinardi
Interessante sentenza quella emessa dalla Sesta Sezione Civile Tributaria della Corte di Cassazione il 4 dicembre 2015 n. 24793.
Il caso esaminato dalla Corte ha riguardato un avviso di accertamento per IRPEF, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato i redditi di partecipazione del contribuente a una Srl, società a propria volta destinataria di un avviso di accertamento per il medesimo anno d’imposta.
Il ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale favorevole alla società era stato dichiarato inammissibile per mancato deposito dell’avviso di ricevimento della relativa notifica per posta.
Secondo la tesi dell’Agenzia delle Entrate l’accertamento nei confronti della società vincolerebbe quello nei confronti del socio solo quando la pretesa nei confronti della società sia ritenuta inesistente nel merito e non, come nella specie, per un vizio procedurale.
Di diverso avviso sono tuttavia i Giudici delle Suprema Corte.
In particolare in risposta all’assunto del fisco la Corte ha affermato che nel caso di specie il giudicato esterno vincolante non è la sentenza – effettivamente tutta in rito – con cui la Cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza d’appello favorevole alla società, ma proprio la sentenza d’appello che ha annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non per ragioni di legittimità formale degli atti o del procedimento impositivo, bensì sulla scorta di un giudizio che ha portato la CTR a ritenere che l’Amministrazione finanziaria non avesse adempiuto all’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa fiscale.
La Corte di Cassazione ha chiarito in più occasioni (vedi Cass. n. 6788/13 e 2137/14), in via generale, che la sentenza passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, producendo cioè conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nei quali sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definitiva in quel processo, o comunque subordinati a questa.
Sulla scorta di quanto sopra i giudici del Palazzaccio hanno quindi ritenuto di poter enunciare il principio secondo cui, nel giudizio avente a oggetto l’avviso di accertamento relativo al socio di una società di capitali a ristretta base sociale, deve riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato, formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle Entrate e la società, con cui è stata accertata la insussistenza di utili extracontabili della società. L’accertamento negativo dell’utile extracontabile della società rimuove, infatti, il presupposto da cui dipende l’accertamento del maggior utile da partecipazione del socio.
Ne consegue che la sentenza ottenuta dalla società ha operato un accertamento negativo del credito tributario di cui ha potuto beneficiare il socio poiché tale sentenza, dopo il suo passaggio in giudicato, ha fatto stato anche nel giudizio intrapreso dal socio.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato pertanto rigettato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE – T
Oggetto: IRPEF ACCERTAMENTO
Ud. 08/07/2015 – PU
Cron. 24793
R.G.N. 1262/2014
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARIO CICALA – Presidente
Dott. SALVATORE BOGNANNI – Consigliere
Dott. MARCELLO IACOBELLIS – Consigliere
Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO – Consigliere
Dott. ANTONELLO COSENTINO – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 1262-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
- G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 537/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE, SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 22/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2015 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito l’Avvocato M. B., per l’Avvocatura Generale dello Stato, che chiede l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle entrate ricorre contro il sig. G. A. per la cassazione della sentenza n. 537/39/2012 con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio – adita in sede di rinvio dalla Corte di cassazione – ha rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato, per nullità insanabile della relativa notifica, un avviso di accertamento IRPEF per l’anno 1995 con cui erano stati ripresi a tassazione i redditi da partecipazione del contribuente alla società a responsabilità limitata C. C. A. (società a propria volta destinataria di un avviso di accertamento per l’anno 1995, dalla stessa impugnato davanti alla giustizia tributaria).
Il ricorso si articola su due motivi, entrambi riferiti al vizio di violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c.
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 384 c.p.c., in relazione all’articolo 8 della legge n. 890/82, in cui la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa discostandosi dalla sentenza di questa Corte che aveva cassato con rinvio la precedente sentenza della stessa Commissione che già una prima volta aveva rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa erariale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 890/82, criticando le statuizioni della sentenza impugnata concernenti l’inesistenza della notificazione dell’atto impositivo impugnato e il riverbero di tale inesistenza sulla validità del medesimo.
Il contribuente non si è costituito.
Nella relazione depositata sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., il consigliere relatore – dopo aver proposto al Collegio un giudizio di fondatezza del primo motivo di ricorso e di infondatezza del secondo – sollecitava il contraddittorio in ordine alla circostanza che l’avviso di accertamento concernente la società C. C. A. srl, scaturigine dell’avviso impugnato dal socio in questo giudizio, era stato annullato dalla medesima Commissione Tributaria Regionale del Lazio con sentenza divenuta definitiva a seguito della dichiarazione di inammissibilità, pronunciata con sentenza di questa Corte n. 4232/14, del ricorso per cassazione contro la stessa proposto dall’Agenzia delle entrate.
Sulla questione difesa erariale depositava memoria difensiva datata 29/1/15.
La causa è stata quindi discussa nell’adunanza di camera di consiglio del 5/2/15 e da tale adunanza rimessa in pubblica udienza, ove è stata nuovamente discussa l’8/7/15.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’esame dei motivi di ricorso risulta assorbito dalla considerazione che – a seguito della sentenza di questa Corte n. 4232/14 che ha dichiarato inammissibile (per mancato deposito dell’avviso di ricevimento della relativa notifica per posta) il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 432/39/2011, depositata il 12 aprile 2011 – quest’ultima sentenza è passata in giudicato.
Con detta sentenza la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, confermando la sentenza di primo grado, aveva annullato l’avviso di accertamento emesso per l’anno 1995 nei confronti della società C. C. A. srl (da cui era scaturito l’avviso di accertamento per redditi da partecipazione impugnato nel presente giudizio) ritenendo e dichiarando che le prove offerte dall’Agenzia delle entrate a supporto della propria pretesa erano state acquisite senza il rispetto delle norme processuali e che, quindi, l’accertamento dell’Ufficio risultava operato sulla base di semplici presunzioni, non supportate da validi elementi probatori.
La difesa erariale, nella memoria 29/1/15, evidenzia che la sentenza di questa Corte n. 4232/14 ha un contenuto esclusivamente processuale (inammissibilità del ricorso per cassazione per mancata dimostrazione della relativa notifica all’intimato), negandone la rilevanza nel presente giudizio. In particolare, dopo aver affermato che il presupposto della pretesa nei confronti del socio non è la formazione di un accertamento definitivo nei confronti della società, bensì il fatto storico dell’esistenza di redditi della società non dichiarati, argomenta che l’accertamento nei confronti della società potrebbe vincolare quello nei confronti del socio “solo quando la pretesa nei confronti della società viene ritenuto inesistente nel merito”.
Al riguardo va preliminarmente ricordato che, in via generale, questa Corte ha più volte ribadito (sent. nn. 6788/13, 2137/14) che, in tema di effetti del giudicato, la sentenza che sia passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, poiché, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nei quali sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definita in quel processo, o comunque subordinati a questa. In coerenza con tali principi si è altresì precisato, nella materia tributaria, che la sentenza favorevole alla società contribuente, che esclude il conseguimento di superiori ricavi non contabilizzati a fini IRAP, divenuta irrevocabile per mancata impugnazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, può essere utilizzata, nonostante la diversità delle imposte, dal socio come prova nel giudizio tributario per contestare ai fini IRPEF i presunti utili percepiti nell’esercizio della medesima attività d’impresa, posto che, anche in difetto di espressa previsione legislativa, l’esclusione dello stesso dato economico e fattuale di partenza fa venir meno, di riflesso, anche la fonte giustificativa dei pretesi redditi incassati dal socio (sent. 24049/11).
Sulla scorta di tali principi, il Collegio ritiene che nel giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo al socio di una società di capitali a ristretta base sociale debba riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato, formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle entrate e la società, con cui sia stata accertata la insussistenza di utili extracontabili della società. L’accertamento negativo dell’utile extracontabile della società rimuove, infatti, il presupposto da cui dipende l’accertamento del maggior utile da partecipazione del socio. Né tale conclusione può ritenersi lesiva del diritto di difesa dell’Agenzia delle entrate, avendo quest’ultima partecipato al giudizio in cui si è formato il giudicato a lei sfavorevole (sul diritto del socio che abbia impugnato l’accertamento di redditi da partecipazione di opporre all’amministrazione finanziaria il giudicato a questa sfavorevole formatosi nel giudizio introdotto dalla società partecipata, si veda – con riferimento al rapporto tra socio e società di persone, ma in base ad una argomentazione riferibile anche al rapporto tra socio e società di capitali a ristretta base partecipativa – SSUU 14815/08, ove si legge: “l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società giova ai soci che non hanno partecipato al giudizio, in quanto se avessero partecipano non avrebbero potuto fare di meglio. L’ufficio ha partecipato al giudizio (o è stato messo in condizione di parteciparvi) introdotto dal ricorso della società o di un socio e, quindi, non può invocare alcun limite del giudicato nei propri confronti”).
Quanto all’assunto della difesa erariale secondo cui il giudicato di annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società potrebbe fare stato nel giudizio relativo all’avviso di accertamento nei confronti del socio “solo quando la pretesa nei confronti della società viene ritenuto inesistente nel merito” (vale a dire, solo se l’annullamento dell’avviso di accertamento nei confronti della società derivi da ragioni attinenti al merito della pretesa tributaria, ossia dall’accertamento negativo del debito di imposta della società), osserva il Collegio che tale assunto non appare concludente nella fattispecie. Il giudicato esterno vincolante in questa causa, infatti, non è la sentenza – effettivamente tutta in rito – con cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza d’appello (determinandone il passaggio in giudicato), ma è, per l’appunto, la sentenza d’appello. Tale sentenza ha annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non per ragioni di legittimità formale degli atti o del procedimento impositivo, prescindenti dal merito della pretesa fiscale, ma perché, sulla scorta di un giudizio di irritualità delle prove acquisite dall’Amministrazione finanziaria, ha ritenuto che quest’ultima non avesse adempiuto all’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa fiscale. La sentenza di secondo grado passata in giudicato a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione contro la stessa proposto ha dunque operato un accertamento negativo del credito tributario oggetto degli avvisi emessi nei confronti della società.
Il giudicato formatosi sulla sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 432/39/2011, depositata il 12 aprile 2011, fa dunque stato nel presente giudizio e va rilevato di ufficio in questa sede, in quanto si è formato dopo la proposizione del ricorso per cassazione per effetto di una pronuncia emanata da questa stessa Corte, che pertanto è acquisibile di ufficio (cfr. Cass. 30780/11 “Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile di ufficio anche quando il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, e, nel caso in cui consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, la cognizione di quest’ultima può avvenire pure mediante quell’attività di istituto (relazioni, massime ufficiali) che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, in tal senso deponendo il duplice dovere incombente sulla Corte di prevenire il contrasto tra giudicati, in coerenza con il divieto del “ne bis in idem”, e di conoscere i propri precedenti, nell’adempimento del dovere istituzionale derivante dall’esercizio della funzione nomofilattica di cui all’articolo 65 dell’ordinamento giudiziario”).
Tanto premesso, poiché l’accertamento negativo del maggior reddito sociale implica l’accertamento negativo del maggior reddito da partecipazione ascritto al contribuente con l’atto impositivo qui impugnato, l’annullamento di tale atto deciso dalla Commissione Tributaria Regionale, in conferma della sentenza di primo grado, risulta conforme a diritto, ancorché per ragioni diverse da quelle esposte nella sentenza gravata.
Il ricorso per cassazione va quindi rigettato.
Non vi è luogo a regolazione di spese, non essendosi l’intimato costituito. Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte della ricorrente, perché il disposto dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/02 non si applica all’Agenzia delle entrate (Cass. SSUU 9938/14).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma l’8 luglio 2015.
Depositato in cancelleria il 4 dic. 2015