L’oltraggio al pubblico ufficiale non vale per l’ausiliario del traffico
Riflettori puntati sugli ausiliari del traffico: non rivestendo la qualifica di pubblici ufficiali, in caso di offese non scatta il reato di oltraggio.
Resta, ovviamente, la possibilità della ingiuria, che però, non è più reato, ma un semplice illecito civile.
Lo ha stabilito la V sezione penale della corte di cassazione, chiamata a giudicare un ricorso presentato da un agente immobiliare che era stato condannato dalla corte d’appello di Milano per violenza privata e oltraggio a pubblico ufficiale. La sentenza n. 6880 del 2016, è stata emessa il 28 ottobre 2015 ma è stata depositata il 22 febbraio 2016.
Il contenzioso, portato all’attenzione della Cassazione, vedeva un automobilista ricorrere alla suprema corte per esser stato denunciato per oltraggio a pubblico ufficiale e violenza privata, perché, dopo aver ricevuto una multa per aver parcheggiato la sua vettura ingombrando parzialmente il passaggio sul marciapiedi, insultava e strattonava un ausiliare del traffico.
La Cassazione ha accettato in parte il ricorso dell’automobilista condannandolo solo per violenza privata per aver impedito all’ausiliario di allontanarsi agevolmente dal luogo della contravvenzione.
Con la sentenza qui in commento è stato finalmente chiarito il ruolo degli ausiliari del traffico, i cui compiti rimangono strettamente vincolati all’accertamento e alla contestazione delle violazioni che attengono al divieto di sosta nelle aree oggetto di concessione, che generalmente i comuni limitano alle strisce blu dei parcheggi a pagamento.
Non si tratta dunque di pubblici ufficiali ma di semplici incaricati del servizio pubblico.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. PISTORELLI Lu – rel. Consigliere
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto dal difensore di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/4/2014 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PISTORELLI Luca;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna di (OMISSIS) per i reati di oltraggio a pubblico ufficiale e violenza privata commessi ai danni di un ausiliario del traffico che aveva proceduto a contravvenzionare la sua autovettura perché malamente parcheggiata in zona a pagamento in modo da ingombrare parzialmente il passaggio sul marciapiede.
- Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore. Con il primo deduce l’errata applicazione della legge penale e correlati difetti di motivazione lamentando il mancato riconoscimento della scriminante di cui al Decreto Legislativo n. 288 del 1944, articolo 4, quale conseguenza della omessa verifica dell’effettiva titolarità da parte dell’ausiliario del traffico del potere di procedere a constatare la presunta violazione al C.d.S. contestata all’imputato. Potere invero insussistente nel caso di specie, atteso che ai sensi dell’articolo 12 C.d.S., il suddetto ausiliario non potrebbe sanzionare violazioni che non riguardano il parcheggio in area data in concessione. Con il secondo motivo analoghi vizi vengono dedotti con riguardo alla ritenuta configurabilità del reato di violenza privata, non avendo nuovamente tenuto conto la Corte territoriale dell’illegittimità del comportamento dell’ausiliario del traffico in grado di scriminare anche la seconda condotta contestata all’imputato, contraddittoriamente ricondotta dai giudici dell’appello allo schema di cui all’articolo 610 codice penale, anziché a quello di cui all’articolo 336 codice penale, una volta qualificata la vittima del reato come pubblico ufficiale. Non di meno la motivazione della sentenza sarebbe quantomeno perplessa in merito alla prova dell’elemento soggettivo del reato, avendo individuato due potenziali moventi tra loro alternativi che avrebbero dato causa alla condotta incriminata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è parzialmente fondato.
- Fondato è in particolare il primo motivo sebbene per ragioni parzialmente diverse da quelle individuate dal ricorrente.
2.1 Pur non sviluppando oltre l’obiezione, il ricorso contesta formalmente la scelta della Corte territoriale di qualificare l’ausiliario del traffico come pubblico ufficiale. Questa Corte, pur registrandosi qualche incertezza interpretativa in passato, ha avuto modo di chiarire come il suddetto ausiliario, nell’atto dell’accertamento e contestazione delle violazioni attinenti al divieto di sosta nella aree oggetto di concessione – e cioè nell’ambito dell’esercizio dei compiti che gli sono espressamente attribuiti ai sensi della Legge n. 127 del 1997, articolo 17, comma 132, come interpretato dalla Legge n. 488 del 1999, articolo 68 – riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, n. 28521 del 16 aprile 2014, Zennaro, Rv. 262608; Sez. 6, n. 7496 del 14 gennaio 2009, De Certo, Rv. 242914).
2.2 Pregiudiziale ed assorbente rispetto alla verifica della legittimità del potere esercitato nel caso di specie dalla vittima del reato, è dunque rilevare come quest’ultima non rivestisse la qualifica che identifica il soggetto passivo tipico della condotta di oltraggio incriminata dall’articolo 341-bis codice penale, così come introdotto dalla Legge n. 94 del 2009, pochi mesi prima dei fatti per cui si procede.
2.3 Conseguentemente gli insulti rivolti all’ausiliario dall’imputato eventualmente integrano il reato di ingiurie, non contestato e in relazione al quale comunque non risulta essere stata proposta querela, ma non quello di oltraggio per cui è intervenuta condanna, che deve dunque essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste con contestuale eliminazione della relativa pena irrogata nel giudizio di merito pari a quindici giorni di reclusione.
- Infondato è invece il secondo motivo con conseguente rigetto nel resto del ricorso. Correttamente è stato infatti contestato all’imputato il reato di violenza privata, atteso che la condotta accertata nei suoi confronti – sostanzialmente consistita nell’impedire alla persona offesa di allontanarsi – è stata pacificamente posta in essere dopo che quest’ultima aveva già provveduto ad elevare la contravvenzione. Altrettanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante l’accertamento del concreto movente dell’azione criminosa, non sussistendo prova alcuna – né il ricorrente l’ha evidenziata – che il (OMISSIS) abbia cercato di impedire all’ausiliario di portare a termine i propri compiti ovvero di costringerlo a ritirare la contravvenzione. In definitiva, in difetto di qualsiasi elemento che consentisse sul piano oggettivo di ricondurre la condotta accertata a quella integrante i più gravi reati di cui agli articoli 336 e 337 codice penale, deve ritenersi corretta la qualificazione del fatto ai sensi dell’articolo 610 codice penale, il quale configura fattispecie che risulta estranea all’ambito di operatività dell’articolo 393-bis codice penale, già vigente all’epoca dei fatti in sostituzione del Decreto Legislativo n. 288 del 1944, abrogato articolo 4, invocato dal ricorrente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 341-bis codice penale, perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di giorni quindici di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.