Giurisprudenza

Impiego di lavoratori extracomunitari senza permesso di soggiorno: assolto il datore per mancanza di dolo. Successione di leggi penali nel tempo: applicazione della disciplina più favorevole all’imputato – Sentenza n. 37703 del 18 ottobre 2011

Ente Giudicante: Corte di Cassazione
Procedimento: Sentenza n. 37703 del 18 ottobre 2011

Impiego di lavoratori extracomunitari senza permesso di soggiorno: assolto il datore per mancanza di dolo. Successione di leggi penali nel tempo: applicazione della disciplina più favorevole all’imputato

Con la sentenza n. 37703 del 18 ottobre 2011 la Corte di cassazione ha fornito una applicazione concreta del principio della successione di leggi penali nel tempo.

Nella fattispecie in esame il datore di lavoro era stato condannato in Appello per aver impiegato un lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno. La difesa del datore aveva sempre sostenuto che il clandestino avesse prestato la propria opera a titolo di amicizia, negando che vi fosse qualsivoglia forma di collaborazione di tipo lavorativo; inoltre, nel ricorso, aveva evidenziato come i giudici d’Appello non avessero tenuto conto del fatto che l’indagine amministrativa svolta dalla Direzione regionale del lavoro aveva annullato il verbale redatto dall’Ispettore del lavoro archiviando la pratica, cosa, questa, che certamente dimostrava la buone fede del datore di lavoro.

La Corte di cassazione, dopo aver rigettato le argomentazioni della difesa e aver sottolineato, in ogni caso, l’autonomia del giudizio penale rispetto a quello amministrativo, ha tuttavia assolto l’imputato con formula piena per mancanza di dolo.

La Suprema Corte ha fatto applicazione nel caso di specie dell’art. 2 del codice penale che, accanto al principio di irretroattività, detta quello deputato a regolare il fenomeno della successione di leggi penali nel tempo, stabilendo che, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.

Orbene, la disciplina dettata dal Testo Unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998 c.d. pacchetto sicurezza) che contempla il reato de qua ha trasformato la fattispecie da contravvenzione a delitto doloso. Trattandosi di una modifica in peius, si applica quindi la disciplina precedente, anche se non più in vigore.

In ogni caso, essendo stato trasformato il reato da contravvenzione a delitto doloso, l’imputato andava comunque assolto perché nel caso concreto non è stato provato l’elemento soggettivo specifico richiesto.

Sentenza n. 37703 del 18 ottobre 2011 Corte di Cassazione

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

… ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte di appello di Genova datata 11.12.2010 – 5.1.2011 che, concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermava nel resto la decisione di primo grado – del tribunale di Massa in composizione monocratica del 20.11.2009 – di condanna del predetto (…) alla pena di mesi due di arresto e 4.000 di ammenda, con la conversione in pena pecuniaria della pena detentiva – per il delitto p. e p. dall’art. 22, 12 comma, D.L.vo n. 286/98. I giudici dell’appello ritenevano, in forza delle deposizioni testimoniali anche del lavoratore ***** che quest’ultimo aveva prestato attività lavorativa in favore dell’imputato, cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno, per il periodo luglio-agosto 2006, con un orario di lavoro ben definitivo – dalle ore 4.43 del mattino fino alle ore 12.00 e dalle ore 15 alle ore 20 per il trasporto di generi alimentari presso i negozi di Sarzana, La Spezia, delle Cinque Terre, di Viareggio, di Pietrasanta e di altre località della zona.

Con l’unico motivo di ricorso l’imputato denuncia mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per l’assorbente ragione che i giudici non avrebbero tenuto conto dell’indagine amministrativa svolta dalla Direzione regionale del lavoro che aveva annullato il verbale redatto dall’Ispettrice del lavoro, tale ***** ed avrebbero altresì sorvolato sulle circostanze che deponevano per la mancanza di colpa dell’imputato per non essersi accertato della mancanza del permesso di soggiorno del lavoratore.

Inammissibile il primo motivo di ricorso, rilevante ai fini della decisione, invece, il secondo. Anche se non vengono esplicitate nel ragionamento difensivo le ragioni ed il dispositivo del provvedimento amministrativo, segnalando così una distonia in relazione al principio della autosufficienza del motivo di impugnazione ai lini della decisione di questa Corte, deve segnalarsi l’autonomia del giudizio penale rispetto a quello amministrativo, per la compatibilità, nel sistema, di eventuali contraddizioni tra gli esiti del primo sul secondo, a meno che I’esito di quest’ ultimo non costituisca, come non è nella specie, elemento costitutivo della fattispecie criminosa. Ora, secondo l’id quod plerumque accidit, è inconcepibile un rapporto di mera amicizia a base di una attività lavorativa protrattasi per due lunghi mesi nella stazione estiva, e svolta con le modalità temporali e topografiche, rappresentative di un vero e proprio lavoro subordinato, quali quelle indicate nel corpo motivazionale della decisione e per nulla contestate dal ricorrente. Peraltro, ai fini della configurabilità del reato di assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, il concetto di occupazione alle proprie dipendenze si riferisce all’instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sé integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività in questione, dall’ambito della collaborazione personale o familiare, perfino dalla remunerazione data al lavoratore. E il discorso si giustifica prestando mente alle vicende temporali della disposizione ed alla conseguente ratio sottesa alla sua definitiva formulazione: invero la previsione contenuta nell’art. 12 della succitata legge n. 943 del 1986, con una disposizione funzionale a sanzionare l’assunzione di stranieri non più in quanto questi siano privi della semplice autorizzazione al lavoro, ma perché privi del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, perseguendo la finalità di contingentamento delle unità lavorative extracomunitarie, di controllo dei flussi e di ordine pubblico.

Ma è sul piano dell’elemento soggettivo che deve cogliersi la ratio decide sul del ricorso, e per una ragione, anche se non esposta nel secondo motivo di ricorso, rilevabile di ufficio. Ora su tale piano la sentenza svolge una articolata e compiuta motivazione per affermare la negligenza, e quindi la colpa, dell’imputato che “ha omesso di verificare per l’intera durata del rapporto – come richiesto dalla norma incriminatrice – se lavoratore cittadino extra-comunitario fosse fornito del permesso di soggiorno”. Ma è facile osservare, in una prospettiva diacronica, che nella specie si è verificato una vera e propria successione delle leggi nel tempo in funzione della trasformazione della contravvenzione in delitto doloso: invero il D.L. n. 42 del 2008 ha trasformato tale reato da colposo in doloso. E questa stessa Sezione della Corte ha precisato che il principio, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., deve considerarsi valido anche in riferimento ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della menzionata modifica legislativa (Sez. l, 30.11/2010 – 11.3.2011, Meloni, Rv 249867).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Martedì, 18 Ottobre 2011