Depenalizzazione: la sottrazione di cose comuni
Il reato di “sottrazione di cose comuni” previsto dall’art. 627 c.p. è stato depenalizzato. La norma abrogata puniva “Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, si impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 20 a euro 206”.
A seguito della depenalizzazione tale condotta oggi comporta una sanzione pecuniaria da cento a ottomila euro, salvo che il fatto sia commesso su cose fungibili e il valore di esse non ecceda la quota spettante al suo autore” e sempre che il danneggiato proponga un giudizio civile al fine di ottenere il risarcimento del danno”.
Sulla base di ciò, la 2^ sezione penale della corte di Cassazione con la sentenza n. 18542 del 4 maggio 2016 ha annullato senza rinvio la condanna nei confronti di un uomo per questo reato benché la condotta sia stata commessa prima dell’entrata in vigore della riforma.
La depenalizzazione ha infatti effetto retroattivo, comportando un trattamento più favorevole al reo; ciò comporta appunto l’assoluzione anche per i fatti commessi in precedenza, sempre che la sentenza non sia divenuta definitiva.
Secondo la Corte di Cassazione, essendo venuto meno l’oggetto sostanziale del rapporto processuale penale, e cioè il nesso tra un fatto penalmente rilevante e l’accusato (imputazione-imputato), la declaratoria ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., che il fatto non è previsto dalla legge come reato (in ossequio al precetto di cui all’art. 2, comma 2, cod. pen.) è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Udienza pubblica del 28/04/2016
Registro generale n. 11363/2015
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere
Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3582/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 18/10/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/04/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
udito il difensore avv. (OMISSIS) il quale si associa alla richiesta del PG.
RITENUTO IN FATTO
- (OMISSIS), a mezzo del difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa in data 18/10/2013 dalla Corte di appello di Napoli che, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 28/12/2011, riduceva la pena ad Euro 200,00 di multa in ordine al delitto di cui all’articolo 61 c.p. n. 11 e articolo 627 c.p.. Deduce violazione di legge per avere omesso la Corte territoriale di valutare l’applicazione della causa di non punibilità di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, nonché il difetto di motivazione per non essersi pronunziata sulla richiesta di applicazione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Va annullata senza rinvio la sentenza impugnata in quanto per sopravvenuta abolitio criminis la sottrazione di cose comuni (articolo 627 c.p.) non è più prevista dalla legge come reato, a norma del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 1, comma 1, lettera d).
- In caso di “aboliti criminis”, poiché tale evento fa venire meno, ancor più che la validità e la efficacia della norma penale incriminatrice, la sua stessa esistenza nell’ordinamento, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare, ex articolo 129 c.p.p., comma 1, che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’articolo 2 c.p., comma 2, per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In altri termini, essendo venuto meno l’oggetto sostanziale del rapporto processuale penale, e cioè il nesso tra un fatto penalmente rilevante e l’accusato (imputazione-imputato), tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento (quale quello relativo alle cause di inammissibilità della impugnazione) che implichi, invece, la formale permanenza di una “res judicanda”; e ciò non diversamente da quanto è imposto al giudice nella ipotesi di morte dell’imputato, ove pure – in questo caso per il venir meno della componente soggettiva – il rapporto processuale è risolto (Sez. 4, sentenza n. 32131 del 6/5/2011, Rv. 251096).
- A nulla vale, pertanto, ad escludere la declaratoria di intervenuta abrogazione della fattispecie incriminatrice, l’inammissibilità dei motivi di ricorso per cassazione, da ravvisarsi quanto alla prima censura nel carattere di novità della questione non dedotta in precedenza davanti al giudice di appello e, riguardo, alla seconda, per la genericità del motivo di appello avendo omesso il ricorrente di specificare le ragioni in forza delle quali la Corte territoriale avrebbe dovuto concedere il beneficio della non menzione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata poiché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Così deciso il 28/04/2016
Depositato in cancelleria il 4 maggio 2016