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I messaggi insistenti su Whatsapp non sono stalking

Vi ha chiesto l’amicizia, poi il numero Whatsapp e da quel momento è un continuo ricevere messaggi e pressioni: attenzione perché non sempre la legge può difendervi.

Il Tar Lombardia sezione staccata di Brescia con la sentenza n. 147 del 22 giugno 2016 ha infatti stabilito che non basta il pressing sulla chat di messaggistica per far scattare il reato di stalking se, oltre al martellante invio di messaggini da parte dell’insistente ammiratore non vi siano anche concrete molestie, tali da far temere la vittima per la propria incolumità o farle cambiare lo stile di vita.

Per tutelarsi dalle invadenze dello stalker, non vi è non soltanto la denuncia penale, ma anche uno strumento “intermedio” più blando (poiché non dà luogo a un procedimento penale) che consente di ottenere dal Questore una prima forma di difesa consistente nell’ammonimento del colpevole affinché tenga un comportamento conforme alla legge.

Tale ammonimento però – si legge nella pronuncia in commento – può essere emesso solo di fronte a vere molestie a carico della persona che denuncia.

Prima quindi di procedere, il Questore deve compiere un’adeguata istruttoria per verificare se i fatti lamentati dalla vittima sono innanzitutto veritieri e sufficientemente gravi, motivando poi in modo puntuale ed adeguato la propria decisione.

Secondo i Giudici amministrativi bresciani nella fattispecie ciò non è avvenuto.

Alla luce dei fatti esposti, l’uomo – denunciato a causa della sua insistenza nel contattare via whatsapp ed sms una donna da poco conosciuta sui social – non sarebbe punibile nemmeno con l’ammonimento, tanto che il TAR ha provveduto ad annullare il verbale emesso precedentemente dal Questore.

Il consiglio in questi casi resta quindi quello di bloccare il contatto in modo che il fastidioso pressing trovi un ostacolo tecnico anziché giudiziario.