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Debiti tributari: il socio accomandatario è responsabile fino al momento in cui la cessione sia stata registrata

commento a cura del Cav. Franco Antonio Pinardi

Il socio di snc che è receduto o ha ceduto la quota risponde dei debiti sociali e dunque anche di quelli nei confronti dell’Erario fino a quando la variazione societaria non è iscritta nel registro imprese.

È il principio ribadito dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio con la sentenza del 25/01/2016 n° 345/1 confermando così il costante orientamento giurisprudenziale sul punto.

Pertanto è la data di registrazione che funge da discrimine al fine di individuare i «confini temporali» della responsabilità patrimoniale dell’ex socio. In altre parole, la cessazione dell’appartenenza alla società per cessione della quota o recesso, o per qualsiasi altra causa, non fa venire meno la responsabilità del socio uscente per le obbligazioni sociali già esistenti. Al contrario, il socio uscente non risponde per le obbligazioni sorte successivamente allo scioglimento del rapporto.

Il caso esaminato dalla CTR riguardava il ricorso di un contribuente contro la cartella di pagamento relativa ad un avviso di accertamento emesso nei confronti della società di cui aveva rivestito la qualità di socio accomandatario.

La CTP di Roma aveva accolto le doglianze del contribuente ed avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto appello. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha così ribaltato la sentenza di primo grado ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 2990 c.c. (applicabile anche alle società in accomandita semplice in virtù dell’art. 2315 c.c.).

Lo scioglimento del vincolo sociale, nell’ambito delle società personali, poiché conduce a una modificazione soggettiva dell’atto costitutivo, per essere opponibile ai terzi, deve essere portato a conoscenza di quest’ultimi, mediante gli strumenti pubblicitari previsti dalla legge.

Per quanto riguarda le società in nome collettivo, la perdita della qualità di socio per cessione della quota, recesso o esclusione, è soggetta ad iscrizione nel Registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2300 c.c., a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che essi ne fossero effettivamente a conoscenza. Pertanto, ai sensi degli artt. 2290 e 2300 c.c., il socio di snc che ceda la sua quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata registrata o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza dell’operazione societaria.

Soltanto tale pubblicità costituisce «fatto impeditivo di una responsabilità altrimenti normale» e, pertanto, deve essere provata dal socio che intende opporre la cessione o il recesso al fine di escludere la propria responsabilità per le obbligazioni della società contratte dopo lo scioglimento del vincolo societario.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI ROMA

SEZIONE 1

riunita con l’intervento dei Signori:

Oddi Francesco – Presidente e Relatore

Bersani Chiara – Giudice

Mezzacapo Salvatore – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 5029/2015

depositato il 20/07/2015

– avverso la sentenza n. 632/2015

emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale ROMA

contro:

CU.GI.

VIA (…) 00175 ROMA

difeso da:

AVV. AB.AL.

VIA (…) 00193 ROMA

proposto dall’appellante:

  1. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ROMA 2

VIA (…) 00100 ROMA RM

terzi chiamati in causa:

AGENTE DI RISCOSSIONE COSENZA EQUITALIA SUD S.p.A.

Atti impugnati:

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ADD. REG. 2005

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ADD. COM. 2005

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2005

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. L’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale II di Roma ha proposto appello avverso la sentenza n. 632/63/15, depositata il 19.1.2015, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma accolse il ricorso presentato dal sig. Gi.Cu. contro la cartella di pagamento n. (…) notificatagli il 23.5.2012 da Equitalia Sud S.p.A. agente della riscossione per la provincia di Cosenza, relativa all’avviso di accertamento n. (…), emesso nei confronti della società L’Ec. S.a.s. di An.Pe., con sede locale nella medesima città calabrese. La cartella impugnata-impugnata – indirizzata a tale Gi.Ma., con indicazione del Cu. e della Ec. S.a.s. quali responsabili solidali – recava la richiesta di versamento del complessivo importo di Euro 1.594.993,30 a titolo di IRAP, IVA, interessi e sanzioni dovute per l’anno d’imposta 2005.

L’appellante censura la sentenza impugnata sotto diversi profili, in relazione ai quali aveva accolto le contestazioni del contribuente: i) contrariamente a quanto affermato dal Cu., l’atto di accertamento emesso nei confronti della Società era stato regolarmente notificato anche al socio, che però non lo aveva impugnato, così precludendosi l’impugnativa della cartella di pagamento; ii) il Cu. era chiamato a rispondere del debito tributario della società quale obbligato solidale della stessa, dato che dal 12.5.2005 al 2.8.2006 ne aveva rivestito la qualità di socio accomandatario (titolare del 95% delle quote del capitale sociale), mentre la sig.ra Ma. (titolare del restante 5% delle quote sociali) era il socio accomandante; iii) poiché ogni contestazione sul merito delle pretesa tributaria era improponibile, erroneamente i giudici di primo grado avevano non solo accolto le argomentazioni della parte privata, ma anche tralasciato di considerare gli elementi indizianti, posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento, costituiti da una serie di attività della società nell’anno 2005 (presentazione del modello 770; modifiche dell’atto costitutivo; esistenza di rimanenze dell’anno precedente; persistente validità dei contratti di somministrazione di energia elettrica e di utenza telefonica presso la sede), che ne lasciavano fondatamente supporre l’operatività e il conseguente obbligo di dichiarazione reddituale, rimasto invece inadempiuto, di talché era pienamente corretta la determinazione induttiva del reddito conseguito, operata in base alla media dei ricavi dichiarati nei due anni precedenti.

  1. Resiste all’appello il Cu., che in primis espone una più complessa ricostruzione fattuale della vicenda.

A seguito dell’accertamento induttivo nei confronti della società, l’Agenzia delle entrate aveva emesso un distinto avviso di accertamento nei suoi confronti ((…)), con il quale recuperò a tassazione sia il reddito da partecipazione nella Eu. S.a.s., sia altri redditi (da partecipazione in altra compagine societaria, da trattamenti pensionistici e da fabbricati), avviso impugnato dinanzi al giudice tributario al pari della successiva cartella di pagamento (n. (…)) riferita a detto avviso di accertamento. Nelle more dei due giudizi, riuniti e favorevolmente definiti, gli era stata notificata la cartella di pagamento riguardante l’avviso di accertamento nei confronti della Eu. S.a.s., oggetto del giudizio definito dalla Commissione tributaria provinciale con la sentenza in questa sede appellata.

Ciò posto, l’appellato eccepisce l’inammissibilità del gravame, perché non notificato ad Equitalia (che aveva emesso la cartella di pagamento impugnata e partecipato al giudizio di primo grado) ed inoltre perché proposto dall’Agenzia delle entrate, carente di interesse alla riforma della sentenza, che aveva annullato un atto emesso da altro soggetto, avendo semmai interesse alla sola impugnazione riguardante l’annullamento dell’avviso di accertamento. Nel merito, il Cu. ribadisce l’argomentazione svolta in prime cure in ordine alla infondatezza della tesi dell’Ufficio circa la definitività dell’atto di accertamento: in effetti, ceduta nel 2006 ad altri la sua partecipazione nella società, che subito dopo aveva trasferito la sua sede da Roma a Cosenza, non era più né interessato né legittimato all’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nel 2010; pertanto non potevano essergli opposti effetti pregiudizievoli derivanti dalla mancata impugnazione dell’avviso. L’appellato richiama poi le ulteriori argomentazioni svolte nel giudizio di primo grado, con le quali sostiene la sua estraneità alla pretesa fiscale (la cartella di pagamento è indirizzata ad altro soggetto e non indica le ragioni della sua responsabilità solidale, che dovrebbe comunque gravare sull’amministratore che gli è succeduto, la sig.ra An.; la natura, semmai, residuale della sua responsabilità, invocabile solo in caso di incapienza del debitore principale), gli errori dell’accertamento induttivo (fondato su presunzioni assolutamente prive di precisione e concordanza) e l’inapplicabilità delle sanzioni nei suoi confronti.

  1. L’appello è fondato e va accolto.

3.1. Vanno in primo luogo dichiarati l’ammissibilità dell’impugnazione e l’interesse dell’Agenzia delle entrate a proporla. Invero, Equitalia Sud S.p.A. nel giudizio di primo grado ha sostenuto il difetto di legittimazione passiva, che la Commissione tributaria provinciale ha implicitamente accolto, in quanto il ricorso del contribuente è stato ritenuto fondato per vizi propri l’azione accertatrice dell’Ufficio, senza alcun accenno all’attività dell’agente della riscossione. Dato questo presupposto, è assolutamente da escludere una partecipazione necessaria di Equitalia al presente giudizio di appello, mentre non può seriamente contestarsi l’interesse dell’Agenzia delle entrate ad impugnare una sentenza che ha negato junditus la pretesa dell’ente creditore.

3.2. Quanto al merito, la Commissione rileva quanto segue.

Per costante giurisprudenza, con riguardo alle società di persone è ritenuto di generale applicazione – non riscontrandosi alcuna disposizione di legge che ne circoscrive la portata al campo delle obbligazioni di origine negoziale – il regime dettato nell’art. 2990 c.c. (applicabile anche alle società in accomandita semplice in virtù dell’art. 2315 c.c., che rinvia alle disposizioni sulla società in nome collettivo e, attraverso l’art. 2293 c.c., alla norma innanzi ricordata), in forza del quale il socio di una società in nome collettivo che cede la propria quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata – iscritta nel registro delle imprese o fino al momento, anteriore, in cui il terzo sia venuto a conoscenza della medesima (Cass. 13.3.2013, n. 6230; 6.10.2011, n. 20447; 12.4.2010, n. 8649).

Non dissimilmente, anche Cass. 6.9.2006, n. 19188, richiamata – ma fraintesa – dai giudici di primo grado per fondare l’accoglimento – del ricorso del contribuente, ha stabilito che il socio di società di persone, in caso di cessione della quota, è responsabile per le tutte le obbligazioni sociali, e perciò anche tributarie, esistenti al giorno dello scioglimento del rapporto sociale (artt. 2290, 2291, 2269 c.c.), sicché la sua responsabilità è diretta ancorché sussidiaria (art. 2304 cod. civ.); ne consegue che, essendo il debito del socio il medesimo della società, l’amministrazione finanziaria non ha l’obbligo di notificare al socio l’avviso di accertamento o di rettifica, in quanto l’accertamento effettuato nei confronti della società ha effetto anche nei confronti del socio – così come il giudicato ottenuto nei confronti della società di persone costituisce titolo esecutivo nei confronti dei singoli soci – e può quindi limitarsi a notificargli, nella vigenza dell’art. 46 del D.P.R. 29.9.1973, n. 602, l’avviso di mora ovvero la cartella di pagamento, potendo il contribuente contestare, con l’impugnazione di questo atto, anche l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta, senza che possa ravvisarsi violazione del suo diritto di difesa (fattispecie in materia di riscossione dell’IVA).

Conseguente a tale principio è quello, anch’esso costante, per il quale l’amministrazione finanziaria può notificare direttamente al socio, ancorché receduto, un avviso di mora per un’obbligazione tributaria della società insorta anteriormente al suo recesso, della quale egli risponde solidalmente ed illimitatamente ai sensi degli articoli 2990 e 2991 c.c., a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo, poiché il suo diritto di difesa è garantito dalla possibilità di contestare la pretesa originaria, impugnando insieme all’atto notificato anche quelli presupposti, la cui notificazione sia stata omessa o risulti irregolare (Cass. 22.12.2014, n. 27189; 5.12.2014, n. 25765; 1.10.2014, n. 20704).

A maggior ragione, il socio receduto può (e, nel suo stesso interesse, deve) impugnare l’atto impositivo verso la società e, atteso il criterio di imputazione “per trasparenza” di crediti e debiti societari nelle società di persone, verso lui stesso, ove tale atto gli sia stato notificato.

Ciò posto, la circostanza dell’avvenuta notificazione al Cu. dell’avviso di accertamento n. (…) nei confronti della società risulta idoneamente provata. Invero, callidamente il ricorrente ha depositato, allegandolo al ricorso in primo grado, l’intero atto di accertamento, omettendone, però, la relata. L’Agenzia delle entrate, invece, pur equivocando sulla data di notificazione (indicata, nel giudizio di primo grado, nel 29.12.2010 e nell’atto di appello nel 14.10.2010), ha prodotto in entrambi i gradi del giudizio la stessa relata di notifica dell’atto di accertamento de quo, relata che – sebbene non chiarissima, ma leggibile – risulta effettuata a mani proprie del destinatario, sig. Gi.Cu., in data 14.12.2010. Ritenuto che la diversità di date indicate dall’Agenzia delle entrate dipende dalla non agevole leggibilità della relata, è certo che l’atto impositivo venne regolarmente notificato anche al soggetto che, quale coobbligato per il debito tributario della società, era pienamente legittimato ad impugnarlo. Non avendo ciò fatto il Cu., né avendo impugnato l’atto impositivo nessun altro dei soggetti interessati, esso è divenuto definitivo e correttamente l’Agenzia delle entrate iniziò la procedura di riscossione coattiva, notificando (anche) al Cu. la cartella di pagamento, che costituisce l’oggetto del presente giudizio. Ne consegue che tale cartella non è impugnabile se non per vizi propri, essendo ormai definitivamente precluso fatto valere quelli riferibili all’atto presupposto. Il ricorso del Cu. avverso la cartella di pagamento, tutto incentrato sull’atto di accertamento, è perciò inammissibile.

3.3. L’esame degli ulteriori motivi dell’atto di appello, relative alla fondatezza della pretesa tributaria, si rivela a questo punto superflua.

In conclusione, la sentenza di primo grado va integralmente riformata e dichiarata la piena legittimità della cartella di pagamento n. (…).

  1. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Commissione regionale del Lazio, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe così provvede:

  1. a) accoglie l’appello dell’Ufficio e, per l’effetto, in riforma integrale della sentenza impugnata dichiara legittima la cartella di pagamento n. (…);
  2. b) condanna l’appellante a rifondere all’Ufficio le spese processuali, liquidate in Euro 7.000,00 per il giudizio di primo grado ed in Euro 8.500,00 per il giudizio di appello.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2016.

Depositata in Segreteria il 25 gennaio 2016.