Legge fallimentare e tributaria favoriscono il trasferimento d’azienda nel concordato preventivo
di Fabio Gallio (*) e Marco Greggio (**)
Con la c.d. miniriforma fallimentare il legislatore del D.L. n. 83/2015 ha introdotto nell’ambito della legge fallimentare il nuovo istituto delle “offerte concorrenti”, che si applica ai procedimenti di concordato preventivo “introdotti” successivamente al 27 giugno 2015. Il nuovo istituto sembra un ottimo strumento per evitare abusi nel ricorso al concordato e riequilibrare il rapporto debitore/creditori, sublimando il principio della competitività in funzione della massima recovery dei creditori e garantendo l’acquirente dell’azienda o di un ramo d’azienda da possibili “sorprese” negative. Tuttavia per non rischiare che tale strumento diventi un meccanismo “diabolico” che tarda – di fatto – l’immissione degli assets sociali nel mercato in modo virtuoso, sarà necessario trovare un giusto equilibrio tra esigenze di urgenza nella riallocazione degli assets (nel miglior interesse dei creditori), e di competitività (che è anch’essa uno strumento di garanzia per gli stessi creditori). Dal punto di vista tributario, invece, il legislatore ha cercato di limitare la responsabilità in capo a parte cessionaria, cercando di accelerare il trasferimento dell’azienda, senza necessità di richiedere il certificato.
- Premessa
In un continuo susseguirsi di riforme, che rende financo difficile la “sedimentazione” dei nuovi istituti ed il loro recepimento da parte del c.d. diritto vivente, con il D.L. n. 83/2015, il legislatore ha introdotto nell’impianto della legge fallimentare il nuovo istituto delle “offerte concorrenti” in caso di trasferimento di aziende, previsto nell’ambito del concordato preventivo.
Si vuole quindi offrire una breve panoramica sul nuovo istituto, per poi soffermarsi su alcuni aspetti della responsabilità fiscale in capo al soggetto acquirente del ramo d’azienda, che il legislatore, conformandosi a quanto riportato nella R.M. n. 112/E-6-84670 del 12 luglio 1999, ha voluto escludere in caso di procedure concorsuali.
- Offerte concorrenti
L’art. 2, comma 1, del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla Legge del 6 agosto 2015, n. 132 ha introdotto nell’ambito della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) l’art. 163-bis, che disciplina il nuovo istituto delle “offerte concorrenti”. Istituto che, in forza delle norme transitorie, si applica ai procedimenti di concordato preventivo “introdotti” successivamente all’entrata in vigore del Decreto n. 83/2015 e, quindi, a far data dal 27 giugno 2015.
Insieme al nuovo istituto delle “proposte concorrenti”, di cui all’art. 163 l.f., le “offerte concorrenti” nell’intenzione del legislatore dovranno accrescere la competitività e la concorrenza, creando un mercato degli assets stressati e favorendo la soluzione delle crisi d’impresa (per una migliore recovery dei creditori sociali).[1]
Prima dell’introduzione di tale istituto, infatti, veniva per lo più ammessa la possibilità per l’imprenditore in crisi di presentare un piano concordatario c.d. chiuso e determinato in tutti i suoi aspetti; una sorta di “pacchetto preconfezionato” in cui il debitore individuava già l’acquirente dell’azienda o del ramo d’azienda (o uno o più beni significativi: per esempio immobili), mediante la stipula di un contratto preliminare antecedente alla presentazione del ricorso c.d. in bianco. Contratto preliminare d’acquisto che per lo più veniva accompagnato da un affitto d’azienda temporaneo e veniva recepito nel piano concordatario, onde essere sottoposto all’approvazione dei creditori; i quali, spesso, non avevano altra scelta che accettare, a fronte del rischio di soluzioni fallimentari che raramente erano (e sono) garanzia di maggiori introiti in tempi economicamente accettabili (like it or lump it).
Tale prassi invero aveva registrato alcuni abusi, atteso che consentiva al cedente di effettuare le alienazioni degli assets più appetibili, se non dell’intera azienda, spesso a prezzi inferiori a quelli di mercato e a soggetti talora compiacenti o legati allo stesso cedente. Di conseguenza siffatto fenomeno veniva da molti criticato, in quanto potenzialmente lesivo della concorrenza.
Per reagire a tali distorsioni, parte della giurisprudenza in presenza di piani concordatari “chiusi” ha ritenuto che comunque vi fosse la necessità di disporre in ogni caso procedure competitive, per la vendita (e finanche per l’affitto), alla luce della norma imperativa di cui all’art. 182 l.f.: tra i precedenti più noti, quello della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor a Milano e La Perla a Bologna[2].
- Obbligatorietà della procedura competitiva nel caso di trasferimento dell’azienda
Ebbene, recependo tale giurisprudenza, con l’introduzione dell’istituto delle offerte concorrenti il legislatore ha attuato una rivoluzione copernicana nell’ambito della disciplina della crisi d’impresa, rendendo automatica ed obbligatoria l’apertura di urna procedura competitiva ([3]) – da parte del Tribunale competente – laddove vi sia un’offerta, formulata da un soggetto previamente individuato dallo stesso debitore e recepita nel piano concordatario, che deve prevedere il trasferimento – immediato o differito – in favore dell’offerente dell’azienda, del ramo d’azienda o del bene di proprietà del debitore.
In particolare nell’ambito delle “offerte” sono ricomprese varie tipologie negoziali, sia unilaterali che bilaterali: offerta semplice, offerta irrevocabile, contratto preliminare. L’offerta invero non deve essere necessariamente impegnativa per l’offerente sotto il profilo giuridico, divenendo la stessa irrevocabile solo all’esito della procedura competitiva descritta nel secondo e nel comma 3 della norma in commento ([4]). Inoltre, l’offerta deve essere formulata da un soggetto previamente individuato dallo stesso debitore e recepita nel piano concordatario (che sarebbe, quindi, di tipo “chiuso”). In altri termini, il debitore deve avere aderito all’offerta, che deve essere conformata in modo da impegnare il debitore in concordato a darle obbligatoria attuazione: sostanzialmente, deve essersi concluso un contratto tra il debitore ed il terzo ([5]). E ancora, l’offerta deve prevedere il trasferimento in favore dell’offerente, dell’azienda, del ramo d’azienda o del bene di proprietà del debitore a fronte di una controprestazione di denaro o comunque “a titolo oneroso” e quindi anche mediante negozi di carattere permutativo (per es. datio in solutum) o che contemplano la cessione di crediti ovvero l’accollo di debiti (come contropartita esclusiva o parziale).
Il trasferimento può essere immediato o differito (“anche quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, del ramo d’azienda o di specifici beni”) e comunque può avvenire “anche prima dell’omologazione”, avendo così posto fine il legislatore ad un’annosa querelle circa la possibilità di compiere atti anticipatori del piano prima dell’omologa ([6]) o addirittura prima della presentazione dello stesso piano ([7]).
La competitiva verrà disposta finanche in caso di offerta di affitto dell’azienda o di uno o più rami di azienda o altri atti da autorizzare ai sensi dell’art. 161, comma 7, l.f. (e quindi atti urgenti di straordinaria amministrazione), ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 163-bis l.f.
- Applicabilità della disciplina sulla vendita dell’azienda o di rami
Nel disciplinare la procedura competitiva, nel corpo dell’art. 163-bis l.f. il legislatore non ha richiamato espressamente le norme di cui agli artt. 105 ss. della legge fallimentare ed in particolare le norme che disciplinano la vendita dell’azienda o di rami (art. 105) e le modalità delle predette vendite (art. 107), nonché i relativi poteri del giudice delegato (art. 108).
Nel silenzio della norma in commento, si ritiene che il comma 5 dell’art. 182, che disciplina le cessioni nel concordato preventivo (richiamando a sua volta gli artt. 105 ss. l.f.), preveda una norma di carattere generale ([8]), e quindi possa applicarsi, in via analogica, anche ai casi disciplinati dall’art. 163-bis l.f. (ancor più per i “trasferimenti” di cui al comma 1), per cui varrà il richiamo alla disciplina di cui agli artt. 105 ss. l.f. D’altronde, parte della giurisprudenza da tempo considera l’art. 182 quale precetto di carattere imperativo, avente il fine di massimizzare la soddisfazione dei creditori, mediante – appunto – le vendite competitive. Peraltro, la stessa ratio degli artt. 163-bis e 182 sembra simile: direttamente, favorire la concorrenza e la competitività; indirettamente garantire (come detto) la migliore recovery dei creditori sociali.
Pertanto, applicando anche per le offerte concorrenti la disciplina degli artt. 105, 107 e 108 l.f., il trasferimento di cui al comma 1 dell’art. 163-bis risulta – giocoforza – una vendita forzata ([9]). Ciò si evince finanche dal tenore letterale della norma: la vendita è disposta dall’autorità giudiziaria, indipendentemente dalla volontà del debitore, con un bando giudiziale pubblicato sul portale delle vendite pubbliche; vi è un’“aggiudicazione” e il ricavato è distribuito sotto la sorveglianza dell’autorità giudiziaria, nel rispetto delle cause legittime di prelazione.
Le conseguenze sono note (e tutte poste a garanzia dell’acquirente): (i) a seguito della vendita (effettuata prima o dopo l’omologazione) con atto notarile, dovranno essere cancellati i vincoli gravanti sui beni trasferiti ex art. 108 l.f., mediante decreto del Tribunale o del giudice delegato e dopo l’incasso del prezzo (o, nel caso di pagamento rateale con garanzia, anche in un momento anteriore); (ii) se è alienata un’azienda, ai sensi dell’art. 105, comma 4, l.f., verrà disattivato l’art. 2560, comma 2, c.c., con conseguente esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti sorti prima del trasferimento e risultanti dalle scritture contabili dell’alienante, a meno che il contratto non contenga accordi diversi (per esempio riguardo il TFR dei dipendenti trasferiti); (iii) la vendita (e l’udienza e gli atti che la precedono o la seguono) potrà essere delegata al professionista ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c. ([10]).
- Eliminazione della responsabilità solidale tributaria dei trasferimenti di aziende nell’ambito dei concordati preventivi
Anche dal punto di vista tributario, il legislatore sta cercando di favorire il trasferimento delle aziende nell’ambito dei concordati preventivi e delle altre procedure concorsuali.
Infatti, con la modifica dell’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ad opera del comma 16, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, l’acquirente dell’azienda o del ramo non è più responsabile solidale con il venditore per passività pregresse, salvo nei caso di attuazione dell’operazione in frode dei creditori tributari. Tale modifica rende di fatto più celeri le acquisizioni, in quanto il cessionario, per disattivare la sua responsabilità fiscale, non ha più la necessità di richiedere il certificato sull’esistenza di contestazioni in capo al dante causa. A questo punto, però, merita di essere esaminato il dettato normativo della disposizione in esame al fine di fare comprendere la portata innovativa e positiva della modifica.
Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 contiene, all’art. 14, una specifica norma in tema di responsabilità tributaria nella cessione d’azienda o di un ramo d’azienda.
La responsabilità solidale a carico del cessionario trova la sua ragione nella necessità di fornire una garanzia per il recupero del credito che l’Amministrazione finanziaria vanta nei confronti del cedente e mira ad evitare che la cessione di azienda (o di un ramo d’azienda) sia solo un espediente per frodare l’Erario.
L’Erario può procedere nei confronti del cessionario (con la preventiva escussione del cedente) al fine di recuperare l’ammontare delle imposte dovute da parte del cedente.
La norma dispone un trattamento univoco valevole per tutte le imposte, dirette ed indirette, e per le relative sanzioni ed interessi che risultino ancora pendenti.
5.1. Limiti alla responsabilità solidale
Il comma 1 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 stabilisce i limiti alla responsabilità solidale dell’acquirente. Questa, infatti, non è illimitata, ma circoscritta alle seguenti situazioni.
5.1.1. Riferimento temporale
Il cessionario è responsabile, in solido con il cedente, per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferibili a:
– violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due precedenti, anche se non contestate o irrogate alla data della cessione;
– violazioni già contestate alla data della cessione, anche se commesse in epoca anteriore (ante biennio).
5.1.2. Limite quantitativo
La responsabilità solidale non può eccedere il valore dell’azienda ([11]) o del ramo d’azienda acquisito.
Prima di rivalersi sull’acquirente, l’Amministrazione ha l’obbligo di esperire l’azione esecutiva nei confronti del cedente (la responsabilità è “sussidiaria”). Chiusa questa fase, il credito (residuo) può essere fatto valere nei confronti del cessionario.
5.2. Atti interessati
Il comma 2 prevede un’ulteriore limitazione alla responsabilità del cessionario, disponendo che la sua obbligazione è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
5.3. Tutela dell’acquirente e certificazione dei carichi pendenti
Ai sensi del comma 3 è possibile fare richiesta all’Amministrazione finanziaria di una certificazione che attesti la presenza o meno di pendenze fiscali a carico del cedente.
La richiesta può essere presentata in qualsiasi momento, sia prima che dopo la cessione, dal cedente o dal cessionario; in quest’ultimo caso, tuttavia, deve essere riportato l’assenso scritto del cedente per motivi di privacy.
La certificazione dell’Amministrazione dovrà riportare notizie in merito all’esistenza di:
- a) contestazioni, cioè violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione o nel biennio precedente e già constatate, anche se alla data del trasferimento non sia stato ancora emesso il relativo atto di contestazione o di irrogazione della sanzione;
- b) carichi pendenti, cioè contestazioni già definite per le quali i debiti non sono stati ancora soddisfatti alla data della richiesta.
Il cessionario è liberato da ogni responsabilità solidale nel caso di certificato negativo e nel caso che il certificato non sia rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta ([12]).
La certificazione limita la responsabilità, non solo ai fatti “noti” anteriori al biennio precedente, ma soprattutto per quelli ancora ignoti del biennio precedente ([13]).
5.4. Cessione in frode ai creditori
Tutte le limitazioni della responsabilità, previste nell’art. 14, vengono meno, ai sensi del comma 4, nel caso in cui l’Agenzia possa provare (anche in via presuntiva) che il trasferimento è avvenuto in frode ai crediti di natura tributaria, ossia proprio con il fine di evitare il pagamento di imposte, interessi e sanzioni.
In base al comma 5, la frode si presume, salvo prova contraria, se il trasferimento è effettuato nei sei mesi successivi alla contestazione di una violazione penalmente rilevante in capo al cedente.
In questa evenienza, quindi, il cessionario risponderà in solido con il cedente, senza la necessità della preventiva escussione di quest’ultimo, e senza limitazioni di responsabilità, quindi anche oltre il valore dell’azienda ceduta e per tutte le violazioni commesse fino alla data di trasferimento anche se non ancora contestate.
5.5. Modifiche
Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 si occupa della revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’art. 8, comma 1, della Legge 11 marzo 2014, n. 23, e con l’art. 16, comma 1, lett. g), modifica l’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997.
In particolare, si introduce, all’art. 14, il comma 5-bis, il quale prevede una causa di disapplicazione della norma quando la cessione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato o di un procedimento di composizione della crisi da sovra indebitamento o di liquidazione del patrimonio.
In merito, si ricorda che l’Amministrazione finanziaria, con la R.M. n. 112/E-6-84670 del 12 luglio 1999, aveva già escluso la responsabilità del cessionario in caso di fallimento del cedente, sostenendo che, ove si accedesse alla tesi opposta a quella qui sostenuta (vale a dire la estensibilità dell’art. 14 anche alle vendite fallimentari) si finirebbe per configurare sistematicamente in concreto, attesa l’impossibilità di attuazione della condizione della preventiva escussione nei casi di specie, una sorta di responsabilità “esclusiva” (e non solidale) in capo al cessionario dei beni del fallimento; responsabilità che sicuramente non era quella delineata dalla norma.
Il comma 5-ter, anch’esso di nuova introduzione, estende l’applicazione della disciplina dettata dalla norma, in quanto compatibile, anche con riferimento alla fattispecie di conferimento di azienda e a tutte le ipotesi di trasferimento d’azienda.
Pertanto, a seguito di queste modifiche, il soggetto che vuole precedere ad acquisire un’azienda nell’ambito di un concordato preventivo non avrà più l’obbligo di richiedere il certificato all’Ufficio competente riguardante i carichi tributari pendenti in capo al venditore. Infatti, salvo il caso di frode, la responsabilità tributaria rimane in capo a parte venditrice.
- Conclusioni
Considerato il fil rouge dell’intera riforma del 2015, ossia quello di evitare abusi nel ricorso al concordato e di riequilibrare il rapporto debitore/creditori, l’istituto delle offerte concorrenti sembra un ottimo strumento volto a tal fine, sublimando nelle offerte concorrenti il principio della competitività in funzione della massima recovery dei creditori. E non ve dubbio che tale nuovo istituto presenta elementi di indiscusso interesse, anche perché l’acquisto di un’azienda o di un ramo d’azienda nell’ambito di una procedura concordataria, tramite competitiva, garantisce l’acquirente da possibili “sorprese” negative: essendo infatti assimilata ad una vendita forzosa, nella cessione dell’azienda di cui alla norma in commento viene disattivata la responsabilità solidale (tra cedente e cessionario) per i debiti iscritti nelle scritture contabili, di cui all’art. 2560, comma 2, c.c. E ciò quand’anche tale cessione venga compiuta prima dell’omologa del concordato preventivo (altrimenti nessuno comprerebbe un’azienda – gravata da un consistente passivo – dal debitore in concordato). Tuttavia per non rischiare che tale strumento, a prima vista utile per evitare distorsioni della concorrenza, diventi – nonostante le buone intenzioni del legislatore e degli operatori, un meccanismo “diabolico” che tarda – di fatto – l’immissione degli assets sociali (ed in particolare delle aziende, specialmente tramite l’affitto) nel mercato in modo virtuoso, sarà necessario trovare un giusto equilibrio tra esigenze di urgenza nella riallocazione degli assets (nel miglior interesse dei creditori), e di competitività (che è anch’essa uno strumento di garanzia per gli stessi creditori).
Dal punto di vista tributario, invece, il legislatore ha cercato di limitare la responsabilità in capo a parte cessionaria, cercando di accelerare il trasferimento dell’azienda, senza necessità di richiedere il certificato.
* Cultore di Diritto tributario presso l’università di Trieste, Avvocato tributarista, Dottore commercialista e Revisore legale. Studio Terrin Associati di Padova e Milano.
** Avvocato in Padova, Studio GDLegal di Padova.
[1] Tra i primi commenti apparsi sulle offerte concorrenti si veda: Lamanna, “La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto ‘contendibilità e soluzioni finanziarie’ n. 83/2015”: un primo commento, Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. ‘Proposte/piani’ ed ‘offerte’ concorrenti”, in ilfallimentarista.it, 29 giugno 2015, pagg. 16-23; Lamanna, “La legge fallimentare dopo la mini riforma del D.L. n. 83/2015”, in Il civilista, Milano, 2015, pagg. 41-48; Bozza, “Brevi considerazioni su alcune norme dell’ultima riforma”, in fallimentiesocieta.it, 2015, pagg. 25-32; Varotti, “Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare (prima parte)”, in ilcaso.it, 17 agosto 2015, pagg. 1-10; Nonno, “La concorrenza nel concordato preventivo”, in Altalex; Varotti, “Appunti veloci sulla riforma della legge fallimentare”, in ilcaso.it, 17 agosto 2015; Marelli, “Le disposizioni del d.l. 27 giugno 2015 n. 83 per favorire la concorrenza nel concordato preventivo: nuovo art. 163-bis e modifiche all’art. 182 l.f.”, in restructuring@nctm.it, giugno 2015; Savioli, “Concorrenza nel mercato e per il mercato delle crisi d’impresa. Le innovazioni del D.L. 83/2015 per la procedura di concordato preventivo”, in ilcaso.it, 30 ottobre 2015; Vitiello, “Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell’era delle proposte di concordato chiuse”, in ilfallimentarista, 2 novembre 2015.
[2] Trib. Milano decreto (di ammissione) del 28 ottobre 2011, in ilcaso.it; sul caso del San Raffaele, vedi ampiamente Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma, cit., pag. 41. Ma si veda anche il concordato “La Perla” (Trib. Bologna, decreto 4 giugno 2013). Casi peraltro commentati in maniera entusiasta dalla stampa (per tutti cfr. Costa, “Aziende in crisi, fa bene la gara tra gli acquirenti”, in llsole24ore.com, 6 dicembre 2013).
[3] È stata soppressa – in sede di conversione in legge – la facoltatività dell’apertura della procedura, originariamente prevista nel D.L. n. 83/2015 (nella cui versione il commissario era tenuto a valutare l’offerta, valutando la sua congruità e le caratteristiche dell’offerente, con potere discrezionale del Tribunale di disporre la procedura competitiva).
[4] Lo ricordano Lamanna, La miniriforma, cit., pag. 17; Nonno, La concorrenza nel concordato preventivo, cit.
[5] Nota giustamente Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del d.l n. 83/15, cit., pag. 42, che in caso contrario la norma sarebbe del tutto superflua, giacché non si è mai dubitato che se il debitore si limita a raccogliere un’offerta di un terzo, senza e farla propria nel piano, e quindi senza aderirvi, tale offerta sia poi posta in competizione con altre possibili offerte. Un Autore (Bozza, Brevi considerazioni, cit., pag. 25) giustamente rileva come “il legislatore abbia perso un’occasione per un intervento molto più urgente e nevralgico di quello fatto per accelerare la liquidazione, e cioè prevedere e regolamentare la possibilità dell’affitto e della vendita dell’azienda o di rami della stessa già nella fase della pendenza del termine del concordato con riserva e nella fase fino all’omologa del concordato pieno, la cui carenza rischia di deprimere le liquidazioni nella fase iniziale del concordato”.
[6] Si è sostenuto che la vendita anticipata dell’azienda possa avvenire anche prima dell’omologazione, quando sussistano ragioni di convenienza e di opportunità per favorire l’attuazione del piano (Perrino, Fallimento e concordati, Torino, 2008, pag. 1126; Gaeta, “Fallimento ed altre procedure concorsuali”, a cura di Fauceglia – Panzani, Padova, 2009, III, pag. 1652; Pacchi – D’Orazio – Coppola, “Le riforme della legge fallimentare”, a cura di Didone, Torino, 2009, pagg. 1869-1870).
[7] Contra Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2011, pag. 334, il quale rileva che in questa fase vi sarebbe il rischio di favorire il compimento da parte del debitore di atti pregiudizievoli o non coerenti al piano.
[8] Il quale dispone che “alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili. La cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi”. E tale disposizione, in virtù delle norme transitorie del D.L. n. 83/2015, si applica anche (ai fallimenti ed) ai procedimenti di concordato preventivo pendenti al 27 giugno 2015 (data di entrata in vigore del Decreto legge), onde agevolare l’attività liquidativa in sede concordataria.
[9] Cfr. Varotti, ivi, pag. 3. Si è ritenuto che il concordato con cessione dei beni prevede la realizzazione di un piano di tipo liquidatorio riconducibile, nella fase esecutiva, così come accade nella procedura fallimentare, alla più vasta categoria dei procedimenti in senso lato di esecuzione forzata, “nel quale, pertanto, il ricavato della vendita dei beni va distribuito a favore dei creditori, i quali beneficiano dell’eventuale miglior risultato, rispetto a quello promesso, in ragione della garanzia generale per loro rappresentata dal patrimonio del debitore” (Cass., 14 marzo 2014, n. 6022; v. anche Trib. Messina, 8 maggio 2012, in ilcaso.it).
[10] Così Varotti, ivi, pag. 2.
[11] Il valore dell’azienda è quello accertato dall’Agenzia sia ai fini delle imposte di registro che delle imposte dirette o, in mancanza di accertamento, quello dichiarato dalle parti (se non contestato dall’Agenzia).
[12] In ordine al termine di quaranta giorni previsto, si chiarisce che lo stesso decorre dalla data in cui la richiesta perviene all’Ufficio, mentre il termine finale si identifica con il giorno di ritiro del certificato presso gli sportelli o con quello di spedizione mediante lettera raccomandata.
[13] L’Agenzia, infatti, difficilmente avrà già proceduto ad analizzare la posizione del contribuente se non per quanto attiene ai controlli “formali”; quasi certamente non avrà analizzato gli studi di settore, la congruità delle società di comodo, ecc. Pertanto, se non procedere ad accelerare tali accertamenti in occasione della certificazione (al fine di evitare che possano sfuggire dalla solidarietà), non potrà certificare posizioni “a rischio” in quanto si evidenzieranno successivamente, con l’effetto che l’acquirente ne sarà liberato.