Giurisprudenza

Sì alla smart card privata per le partite al bar, se non c’è fine di lucro – Sentenza n. 7051 del 23 febbraio 2012

Ente Giudicante: Corte di Cassazione
Procedimento:

Sì alla smart card privata per le partite al bar, se non c’è fine di lucro

La Cassazione, Terza sezione penale, con la sentenza 7051 del 23 febbraio 2012, ha stabilito che va assolto il gestore di un pub che aveva usato la sua smart card per uso domestico “Mediaset Premium”, anziché la club card dello stesso circuito, per far vedere agli avventori del suo locale una partita di calcio criptata perché il fatto non costituisce reato.

La trasmissione della partita era stata considerata illecita dalla società di distribuzione del servizio, la Reti Televisive Italiane S.p.A. che immediatamente ha mosso l’accusa nei confronti del gestore per violazione del diritto d’autore secondo quanto recitano rispettivamente l’art. 171 del codice penale e la Legge 633/41.

In primo grado il gestore era stato assolto per mancanza di reato, mentre in appello era stato dichiarato colpevole e condannato alla pena di 4 mesi e 1,800 euro di multa. Il gestore non ci sta, il ricorso va avanti e si arriva al giorno dell’assoluzione e dell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Secondo i Giudici della Suprema Corte il fatto che il gestore non avesse precedentemente pubblicizzato l’appuntamento sportivo, implica l’assenza del fine di lucro,  e quindi lo rende indenne da ogni responsabilità penale, quale appunto la  violazione delle norme a tutela del copyright dei diritti televisivi. I supremi giudici nella sentenza spiegano che non c’è “trasmissione delle immagini televisive nella mera condotta di chi associa a se stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo, a prescindere dalla liceità o meno di ciò sul piano contrattuale e quindi civilistico”. E continuano affermando che  “tale diffusione dell’evento non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone attratte dalla possibilità di seguire l’evento sportivo gratuitamente”. La Cassazione sottolinea anche che al momento dell’accertamento della condotta contestata all’imputato erano presenti nel pub pochissimi avventori ai quali nessun sovrapprezzo è stato richiesto per la possibilità di seguire l’evento calcistico trasmesso dall’emittente televisiva.

Va evidenziato comunque il fatto che la sentenza ricorda che resta reato la diffusione del programma criptato, al di fuori delle modalità consentite dal contratto di stipula, in tutti i casi in cui è presente la finalità di trarvi un guadagno.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione III Penale

Sentenza n. 7051 del 23 febbraio 2012

Udienza pubblica del 2 dicembre 2011
Sentenza n. 2613
R.G.N. 16370/11

Composta dagli Ill.mi signori Magistrati:

dott. Ciro Petti Presidente

1. dott. Mario Gentile

2. dott. Giovanni Amoroso

3. dott. Elisabetta Rosi

4. dott. Sante Gazzara

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da omissis, nato a Lecce il omissis

Avverso la sentenza del 6 ottobre 2010 della corte d’appello di Lecce

Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;

Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Elisabetta Cesqui che ha concluso per l’annullamento senza rinvio;

Udito, per l’imputato, l’avv. omissis, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

la Corte osserva:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza in data 5 giugno 2007, il giudice monocratico presso il Tribunale di Lecce – sezione di Gallipoli mandava assolto con ampia formula, perché il fatto non sussiste, omissis, gestore del pub omissis, corrente in omissis, alla via omissis, rinviato a giudizio per rispondere del delitto p. e p. dall’art. 171 ter, lett. e), L. 633/41, “per avere, in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmesso al pubblico un servizio criptato (incontro di calcio Inter – Juventus) ricevuto per mezzo di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato (acc. inomissis il 2 febbraio 2006).

In concreto, era accaduto che nel locale del omissis venisse trasmessa l’anzidetta partita del campionato di calcio di serie A, visibile attraverso la piattaforma a pagamento per la televisione digitale terreste Mediaset Premium, ancorché l’imputato fosse titolare di un contratto con la menzionata emittente di tipo domestico, anziché del tipo denominato Mediaset Premium Club, che consente appunto la visione dei programmi trasmessi dall’emittente medesima nei locali pubblici, circoli ed associazioni.

Sennonché, secondo l’impostazione accolta dal giudice di primo grado, essendosi il omissis “limitato a ricevere il segnale della smart card legittimamente posseduta e a trasmetterlo a mezzo del decoder e del televisore in suo uso”, egli, così facendo, non avrebbe posto in essere “alcuna attività di diffusione ovvero di ritrasmissione del servizio criptato” – tali essendo le sole condotte sanzionate dalla norma incriminatrice, da intendersi secondo l’accezione strettamente tecnica propria dei termini impiegati dal legislatore – bensì “una mera ricezione/trasmissione dello stesso, non penalmente rilevante, benché non consentita dal contratto di distribuzione”.

Inoltre nella fattispecie doveva reputarsi insussistente anche l’elemento soggettivo, richiesto dalla contestata norma incriminatrice nelle forme del dolo specifico, quale finalità di lucro perseguita dal soggetto agente con il suo comportamento, “non essendosi in alcun modo provato quale guadagno economicamente apprezzabile il omissis abbia tratto o inteso trarre con la sua condotta”.

2. Avverso detta statuizione interponevano impugnazione tanto il P.G. in sede, quanto il patrono della costituita parte civile, R.T.I. Reti Televisive Italiane s.p.a., quest’ultima ai soli effetti civili.

Con sentenza del 6 ottobre 2010 la corte d’appello di Lecce riformava la sentenza di primo grado e dichiarava omissis colpevole del reato ascrittogli e lo condannava, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 1.800,00 di multa, oltre alle pene accessorie di cui all’art. 171 ter co. 4 L. 633/41, computate nel minimo quelle temporanee e con pubblicazione della sentenza, per estratto e per una sola volta, sul quotidiano “La Repubblica” e sul periodico “Sorrisi e Canzoni T.V.”; lo condannava altresì al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio, verso l’Erario e verso la costituita parte civile. Dichiarava le pene inflitte sospese alle condizioni di legge e concedeva all’imputato il beneficio ulteriore della non menzione.

Osservava la Corte territoriale che l’art. 171 ter, lett. e), L. n. 633/1941 sanziona la condotta di chi, in assenza di accordo con illegittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato. Per ciò che concerne l’elemento materiale, la corte considerava che la condotta posta in essere dall’imputato si era concretizzata nel consentire agli utenti dell’esercizio dallo stesso gestito di fruire della visione di un programma contrattualmente riservato alla utenza domestica. Quanto all’elemento soggettivo, osservava la corte che era sufficiente che il soggetto agente si fosse determinato a porre in essere la materialità della condotta incriminata per finalità di lucro, indipendentemente dalla sua effettiva realizzazione. In conclusione la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. e), L. 633/41.

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.

La società reti televisive italiane S.p.A. ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso, articolato in due motivi, il ricorrente deduce in particolare la violazione di legge censurando la sentenza impugnata quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Erroneamente la sentenza della corte d’appello ha ritenuto che il fine di lucro consistesse nel fatto che la trasmissione della partita nel locale dell’imputato fosse funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone, attratte dalla possibilità di seguire gratuitamente l’evento sportivo in questione, o comunque a farvi trattenere per un tempo più lungo quelle presenti, al fine di incrementare le vendite delle varie consumazioni servite nel locale.

2. Il ricorso è fondato.

L’art. 171-ter legge 22 aprile 1941, n. 633, così come sostituito dalla L. 18 agosto 2000, n. 648, sanziona come fatto penalmente rilevante la condotta di chi, per uso non personale e a fini di lucro, in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato.

E vero che – come questa Corte ha, anche di recente, affermato – il reato di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. e), legge n. 633 del 1941, è integrato dalla condotta di chi, utilizzando una “smart card”, legittimamente detenuta in base al contratto ed idonea a consentire la ricezione di programmi televisivi a pagamento per uso esclusivamente privato, diffonda in pubblico i programmi stessi in assenza di accordo con il distributore (cfr. Cass., sez. III, 24 novembre 2010 – 28 dicembre 2010, n. 45567). E parimenti è corretta l’affermazione della corte d’appello che ha qualificato come “diffusione” la condotta di consentire indebitamente, perché non autorizzato sul piano contrattuale, ad un numero indeterminato di soggetti all’interno di un esercizio pubblico la fruizione di uno spettacolo televisivo protetto dal diritto d’autore. La nozione di diffusione infatti, che è più ampia di quella di ritrasmissione prevista dalla disposizione citata come condotta tipica del reato, implica, come condizione sufficiente, la partecipazione ad altri, in numero indeterminato, di trasmissioni ad accesso condizionato.

Invece non vi è “trasmissione” delle immagini televisive nella mera condotta di chi associa a se stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo, a prescindere della liceità o meno di ciò sul piano contrattuale e quindi civilistico: ciò che si verifica di norma quando manca il fine di lucro.

Nella specie la diffusione in un pub di un evento sportivo trasmesso dalla rete televisiva con accesso condizionato non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone attratte dalla possibilità di seguire l’evento sportivo gratuitamente. Ciò perché – come risulta dalla sentenza impugnata – non era stata pubblicizzata la diffusione nel pub dell’evento calcistico; al momento dell’accertamento della condotta contestata all’imputato erano presenti nel pub pochissimi avventori, a questi ultimi nessun sovraprezzo era stato richiesto in ragione della possibilità di seguire l’evento calcistico trasmesso dall’emittente televisiva.

In sostanza nessun elemento emergeva in ordine al fine di lucro la cui mancanza escludeva la rilevanza penale della condotta.

3. Pertanto il ricorso va accolto con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011

Il Consigliere estensore                                                                                                   Il Presidente
(Giovanni Amoroso)                                                                                                           (Ciro Petti)