Invalido dopo un incidente: dal risarcimento va detratta l’indennità di accompagnamento
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7774 del 20 aprile 2016, si è pronunciata sulla questione di accordare o meno il risarcimento del danno patrimoniale futuro, nel caso in cui sia stata già riconosciuta l’indennità di accompagnamento.
Secondo i giudici di piazza Cavour l’indennità, avendo anche lo scopo di compensare l’onere di dover retribuire un collaboratore per far fronte alle esigenze di vita quotidiana, ristora già un pregiudizio patrimoniale.
Ne consegue che se dall’incidente deriva un danno fisico permanente e l’invalido percepisce l’indennità di accompagnamento (ma vale anche per altri indennizzi, come l’assistenza domiciliare a carico del servizio sanitario), le somme erogate dallo Stato, o altri enti (Inps, Inail ecc) devono essere scalate dal risarcimento dovuto dall’assicurazione.
Il caso da cui trae origine la decisione della Suprema Corte ha riguardato un uomo che dopo un sinistro stradale ha citato in giudizio i soggetti responsabili dell’incidente.
In primo grado il tribunale ha accolto parzialmente la sua domanda, riconoscendogli il 50% di responsabilità. La vittima del sinistro ha quindi proposto ricorso in Corte d’Appello che gli ha accordato un danno patrimoniale maggiore, in virtù delle diverse spese mediche sostenute per l’assistenza infermieristica domiciliare e per l’acquisto di macchinari farmaceutici.
Il giudizio così è finito dinanzi alla Corte di Cassazione che ha annullato il risarcimento riconosciuto dalla Corte d’Appello, poiché la quantificazione del danno patrimoniale è stata effettuata senza detrarre l’indennità di accompagnamento e ignorando i benefici che la legislazione regionale assicura in tema di assistenza domiciliare.
Ne è conseguita, quindi, una sovrastima da parte dei giudici dell’Appello del danno patrimoniale per l’assistenza domiciliare, in violazione dell’articolo 1223 c.c..
A ciò si aggiunga che la Corte d’Appello di Milano aveva calcolato il risarcimento sulla base del numero di anni di vita “residui”, cioè 38, risultato dalla differenza tra la durata media della vita (78 anni), e l’età anagrafica dell’uomo al momento dell’incidente (40 anni). Per la Cassazione tale criterio è errato, ed ha quindi dettato specifiche regole di calcolo: “Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, non può essere liquidato semplicemente moltiplicando la spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita; oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e quindi abbattendo il risultato in base al coefficiente di anticipazione; od infine attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Oggetto: Danno patrimoniale da lesione della salute
R.G.N. 72/2014
Cron. 7774
Rep. C.I.
Ud. 18/01/2016
PU
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Rel. Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 72/2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA in persona del Procuratore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
nonché contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio;
– intimati –
nonché da
(OMISSIS) S.P.A. in persona del Dott. (OMISSIS) amministratore delegato legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA in persona del Procuratore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore (OMISSIS), (OMISSIS) in proprio;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4152/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/11/2013, R.G.N. 1903/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento motivo A) del ricorso principale e incidentale, assorbito E), rigetto degli altri; idem per il ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- Il (OMISSIS), a (OMISSIS), si verificò un sinistro stradale che coinvolse il motociclo Kawasaki 2750, condotto da (OMISSIS), e il furgone Fiat Iveco condotto da (OMISSIS), di proprietà della società (OMISSIS) s.r.l. (che in seguito muterà ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la (OMISSIS)”), ed assicurato contro i rischi della responsabilità civile dalla società (OMISSIS).
In conseguenza del sinistro (OMISSIS) patì gravissime lesioni personali.
- Con ricorso depositato l’11.11.2008 (OMISSIS) ed i suoi familiari (ovvero la moglie (OMISSIS) ed il figlio (OMISSIS), quest’ultimo minorenne all’epoca dei fatti, e rappresentato ex articolo 320 c.c., dai genitori) convennero dinanzi al Tribunale di Milano (OMISSIS), la (OMISSIS) e la (OMISSIS), assumendo che il sinistro andasse ascritto a colpa di (OMISSIS), e chiedendo la condanna di tutti i convenuti in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.
- Con sentenza 19.12.2012 n. 14313 il Tribunale di Milano accolse parzialmente la domanda, attribuendo alla vittima il 50 % di responsabilità.
- La sentenza venne appellata in via principale dagli originari attori, ed in via incidentale dalla (OMISSIS).
La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata il 28.11.2013 n. 4152:
-) tenne ferme le statuizioni sull’an debeatur;
-) accordò alla vittima una più cospicua liquidazione del danno per spese mediche e di assistenza futura, per acquisto di macchinari terapeutici, per l’acquisto d’una automobile adatta alle sue condizioni, e per la ristrutturazione dell’abitazione.
- La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione:
-) in via principale dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su cinque motivi;
-) in via incidentale dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su sette motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso ai ricorsi principale ed incidentale. La (OMISSIS) ha resistito con controricorso al controricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS).
Le medesime parti hanno altresì depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso principale ((OMISSIS)).
1.1. Col primo motivo di ricorso la (OMISSIS) lamenta il vizio di nullità processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Deduce, al riguardo, che la sentenza d’appello è stata pronunciata, nelle forme del rito del lavoro e dunque mediante lettura del dispositivo, all’udienza del 13.11.2013.
Nondimeno, a pag. 11 della medesima sentenza si afferma che “la causa è stata decisa nella camera di consiglio del 12.11.2013”, ed analoga affermazione si legge alla successiva p. 23.
La sentenza, dunque, secondo la ricorrente è nulla, perché deliberata il giorno prima di quello stabilito per la decisione.
1.2. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, pronunciata il 13 novembre, reca in calce effettivamente l’affermazione “cosi deciso in Milano il 12 novembre”.
Tale circostanza, tuttavia, in sé e per sé non consente a questa Corte di stabilire se davvero quella decisione fu collegialmente adottata prima del termine stabilito, ovvero se l’indicazione d’una data scorretta sia mero frutto di un lapsus calami. Ed in mancanza di tale certezza, non può ritenersi dimostrata la violazione dell’orda processus, e quindi la nullità invocata dalla ricorrente.
Né costituirebbe causa di nullità la circostanza che il magistrato estensore, il giorno prima di quello stabilito per la decisione, abbia predisposto una bozza della sentenza che sarebbe stato chiamato ad adottare.
Tale eventualità, come già ritenuto da questa Corte, non determina infatti alcuna nullità e non costituisce comportamento lesivo del diritto di difesa delle parti, dal momento che quella bozza non avrebbe altro valore che quello d’una mera ipotesi di decisione, da sottoporre comunque alla discussione in carriera di consiglio, e sempre modificabile alla luce delle argomentazioni svolte dalle parti, sino alla sottoscrizione del dispositivo (così Sez. 3, Sentenza n. 39 del 03/01/2014, Rv. 629505).
- Il secondo motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).
2.1. Il secondo motivo del ricorso proposto dalla società (OMISSIS), pur formalmente unitario, contiene in realtà cinque censure, ciascuna delle quali a sua volta articolata in più profili.
Per chiarezza d’esposizione esse saranno esaminate analiticamente, indicando ciascuna censura con la medesima lettera utilizzata dalla (OMISSIS) per contraddistinguerle nel proprio ricorso.
2.2. (A) prima censura del 2 motivo di ricorso (OMISSIS) (spese di assistenza).
Con la censura sub (A), di cui alle pp. 35-46 del ricorso, la (OMISSIS) lamenta sia il vizio di violazione di legge, sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone che la Corte d’appello, accogliendo il gravame di (OMISSIS), ha elevato da Euro 400.000 ad Euro 1.196.945 la stima del danno patrimoniale patito dalla vittima, e consistente nelle spese che questa dovrà sostenere per l’assistenza infermieristica domiciliare.
Deduce tuttavia la ricorrente che tale statuizione della Corte d’appello è viziata sotto più profili, in quanto:
(a) è del tutto priva di motivazione;
(b) ha liquidato non solo il danno futuro, ma anche quello in tesi patito dalla vittima tra il sinistro e il momento della liquidazione, sebbene nessuna prova fosse stata fornita dei relativi esborsi;
(c) ha liquidato il danno senza tenere conto dell’incidenza che avrebbe avuto, sui costi di assistenza, l’intervento del Servizio Sanitario Nazionale;
(d) ha liquidato il danno moltiplicando il costo dell’assistenza annuale per il numero di anni di vita futura: criterio errato, giacche’ la monetizzazione attuale d’un danno futuro andava compiuta col criterio della capitalizzazione, e non con una “bruta” moltiplicazione.
Tutte le censure appena riassunte sono manifestamente fondate.
2.2.1. Fondata è, in primo luogo, la censura di difetto assoluto di motivazione.
Prima di esaminare tale censura nel merito, tuttavia, deve rilevarsi come la società ricorrente l’abbia proposta invocando formalmente il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, (così il ricorso, p. 42).
Al presente giudizio, tuttavia, si applica l’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale non prevede più il “vizio di motivazione” in quanto tale, ma solo l’omesso esame d’un fatto decisivo e controverso.
Il motivo di ricorso in esame resta tuttavia ammissibile, per due ragioni:
(a) la prima è che la mancanza totale di motivazione resta un vizio censurabile in sede di legittimità, giacche’ essa si risolve in una violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, nell’interpretare il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5: cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
(b) la seconda è che l’errore commesso dal ricorrente nell’inquadrare il vizio da lui denunciato in una delle cinque ipotesi previste dall’articolo 360 c.p.c. (c.d. “vizio di sussunzione”) non rende inammissibile il ricorso, quando l’illustrazione del motivo contenga comunque una “chiara ed inequivoca” spiegazione del vizio censurato (così, ancora, le Sezioni Unite: cfr. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268).
Nel nostro caso, la società ricorrente per un verso ha denunciato la totale mancanza della motivazione sul punto qui in esame; per altro verso ha chiaramente illustrato questa sua doglianza: sicché, pur essendo erronea l’invocazione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (corretta sarebbe stata, invece, l’invocazione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3), tale errore resta privo di conseguenze.
2.2.2. Ciò stabilito in limine, nel merito deve rilevarsi come la Corte d’appello abbia adottato in effetti una motivazione solo apparente, ed inferiore a quel “minimo costituzionale” richiesto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la ricordata sentenza n. 8053/14.
La Corte d’appello, infatti, sul punto della liquidazione del danno patrimoniale da assistenza domiciliare ha così motivato: “(la liquidazione del Tribunale) non appare a questa Corte satisfattiva in relazione alle spese che il sig. (OMISSIS) dovrà in futuro sostenere per l’assistenza domiciliare, secondo il calcolo che segue (…):
– si quantifica l’assistenza infermieristica in Euro 14,5 al giorno per 4 ore al giorno per 365 giorni l’anno;
– si quantifica l’assistenza generica in Euro 8,50 per 10 ore al giorno per 365 giorni l’anno”, oltre gli oneri accessori (contributi previdenziali da pagare al collaboratore, sostituzione nel periodo feriale, accantonamento del trattamento di fine rapporto).
La motivazione finisce qui.
Non basta, tuttavia, esporre una moltiplicazione perché un provvedimento giurisdizionale possa dirsi motivato.
Quel che resta totalmente apodittico, nel provvedimento oggi all’esame di questa Corte, è il presupposto stesso della stima del danno: ovvero donde la Corte d’appello abbia tratto il dato relativo al numero di ore di assistenza di cui il danneggiato ha necessità; donde abbia tratto il dato relativo alla retribuzione dovuta all’assistente; donde abbia tratto il dato relativo agli oneri previdenziali accessori che l’assunzione di un collaboratore domestico comporterebbe.
La decisione impugnata appare dunque irrispettosa del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui la liquidazione dei danni futuri consistenti nelle spese che la vittima di un incidente stradale dovrà sostenere per la collaborazione di terzi nelle faccende domestiche e personali, anche quando avvenga in via equitativa, obbliga il giudice “ad indicare, sia pure sommariamente, i criteri adoperati, in modo da evitare che la decisione sia arbitraria e sottratta ad ogni controllo” (Sez. 3, Sentenza n. 752 del 23/01/2002, Rv. 551783).
2.2.3. Fondata è, altresì, la seconda censura, con la quale la società ricorrente lamenta la erronea liquidazione del danno emergente per spese di assistenza, anche per il periodo di tempo compreso tra il sinistro e la data della liquidazione: periodo nel quale la vittima non aveva documentato spesa veruna.
Il motivo è manifestamente fondato.
Infatti il pregiudizio patrimoniale consistente nella necessità di dovere retribuire una persona che garantisca l’assistenza personale ad un soggetto invalido è un danno permanente, che si produce de die in diem.
Se l’esigenza di retribuire un terzo per l’assistenza domestica è sorta prima del momento della liquidazione, al momento in cui quest’ultima avviene il giudice dovrà monetizzare sia un danno già verificatosi (quello maturato tra il sinistro e la liquidazione); sia un danno che si verificherà nel futuro (quello che verosimilmente maturerà a partire dal momento della liquidazione in poi).
La liquidazione del danno patrimoniale permanente futuro può avvenire, ai sensi dell’articolo 2056 c.c., sulla base dell’id quod plerumque accidit, di fatti notori e di massime di esperienza: tra le quali, nel nostro caso, quella secondo cui chi non è in condizioni di provvedere alle proprie esigenze personali normalmente ricorre all’ausilio di un infermiere o di un assistente. La liquidazione del danno patrimoniale permanente passato può avvenire anch’essa in via equitativa, ex articoli 1226 e 2056 c.c., ove ne ricorrano i presupposti (ovvero l’impossibilità della stima del danno nel suo esatto ammontare). Tuttavia, trattandosi di un pregiudizio che si assume già avvenuto, il giudice non può prescindere dall’accertarne la concreta sussistenza, senza potere ricorrere a “ragionevoli previsioni”, consentite per quanto detto solo con riferimento al danno futuro (Sez. 3, Sentenza n. 24205 del 13/11/2014, Rv. 633431).
Pertanto, quando si tratti liquidare un danno passato permanente che si assuma essere consistito nella necessità di una spesa periodica per assistenza, delle due l’una: o il danneggiato dimostra di averla sostenuta (anche attraverso presunzioni semplici, ex articolo 2727 c.c.), oppure nessuna liquidazione può essere consentita. Il danno per spese di assistenza, infatti, quando si assuma essere già maturato al momento della liquidazione, è rappresentato dalla spesa sostenuta, non dalla necessità di sostenerla.
Dunque il danneggiato che, pur avendone bisogno, rinunci ad una assistenza domiciliare e non sostenga la relativa spesa, non può pretendere alcun risarcimento del danno patrimoniale emergente passato, per la semplice ragione che il suo patrimonio non si è ridotto (così già Sez. 3, Sentenza n. 5504 del 08/04/2003, Rv. 561970, ove si legge che “l’assistenza (domiciliare) è un rimedio per sopperire alle conseguenze del danno alla salute (…), e l’entità del danno è pari alla misura della spesa sostenuta per l’assistenza; ne consegue che se tale spesa non viene sostenuta la voce di danno non sussiste”).
Va da sé che la rinuncia ad una assistenza domiciliare, specie se forzosa perché – ad esempio – indotta dalle precarie condizioni economiche della vittima, può causare disagi, ma questi dovranno essere valutati sotto il profilo del danno non patrimoniale: profilo che nel presente giudizio non risulta essere mai stato prospettato.
Da quanto esposto consegue che la Corte d’appello, liquidando il danno patrimoniale per spese di assistenza, maturato nel periodo anteriore alla sentenza, a prescindere da qualsiasi allegazione, da qualsiasi dimostrazione e da qualsiasi motivazione, ha effettivamente violato gli articoli 1223 e 1226 c.c., finendo per accordare alla vittima un credito mai dimostrato in giudizio, e dunque sovrastimando il risarcimento.
2.2.4. Fondata, in terzo luogo, è la censura con la quale la società ricorrente lamenta che la Corte d’appello, nel liquidare il danno patrimoniale permanente patito dalla vittima e consistente nelle spese per l’assistenza domiciliare, non abbia tenuto conto dell’incidenza delle provvidenze accordate alla vittima dal sistema sanitario nazionale e regionale.
Anche questo motivo è fondato.
Nel giudizio di merito fu lo stesso danneggiato a dedurre di percepire l’indennità di accompagnamento di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, articolo 5, comma 1, (circostanza ribadita nel controricorso, p. 25).
L’indennità in questione spetta ai pensionati per inabilità “che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua” (articolo 5 cit.).
Si tratta, dunque, d’un emolumento volto a ristorare un pregiudizio patrimoniale: giustappunto, quello consistente nella necessità di dovere retribuire un collaboratore od assistente per fronteggiare le necessità della vita quotidiana.
La percezione di tale emolumento incide dunque sulla misura del danno risarcibile, per il semplice fatto che lo elimina in parte. Nulla rileva che l’indennizzo scaturisca da una norma previdenziale: secondo il più recente orientamento di questa Corte, infatti, cui per brevità si può in questa sede rinviare, qualsiasi emolumento previdenziale o indennitario può incidere sulla liquidazione del danno aquiliano, se la sua erogazione è intesa a sollevare la vittima dallo stato di bisogno derivante dall’illecito (Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014, Rv. 631440).
Considerazioni analoghe valgono per l’assistenza domiciliare prestata dal servizio sanitario nazionale e regionale.
In Lombardia, luogo di residenza della vittima, l’assistenza domiciliare costituisce oggetto di un complesso sistema normativo, bastato in primo luogo sulla Legge Regionale Lombardia 30 dicembre 2009, n. 33, articolo 26, comma 5, lettera (c), (d) ed (e), (recante “Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità”), il quale individua nell’assistenza domiciliare uno degli obiettivi primari del servizio sanitario regionale.
Tale norma ha ricevuto attuazione dapprima con la delibera della giunta regionale (d.G.R.) 9 maggio 2003 n. 12902 (in B.U. Lombardia 20.5.2003, n. 21, I suppl. straord.), la quale ha introdotto il sistema dei cc.dd. “voucher socio-sanitari”, ovvero titoli di legittimazione utilizzabili dalle famiglie per l’acquisto di prestazioni di assistenza domiciliare socio-sanitaria da enti erogatori accreditati, pagabili senza limiti né di età, né di reddito.
In seguito la d.G.R. Lombardia 18.5.2011, n. IX/1746 (recante “Determinazione in ordine alla qualificazione della rete dell’assistenza domiciliare in attuazione del PSSR 2010-2014”, in B.U. Lombardia 6.6.2011, n. 23) ha riformato ed incrementato il sistema dei “voucher” previsto dalla precedente delibera d.G.R. del 2003.
Al momento della decisione d’appello, infine (13.11.2013), era stata approvata la d.G.R. Lombardia 27.9.2013 n. X/740, concernente l’approvazione del Programma Operativo Regionale in materia di gravi e gravissime disabilità, la quale accordò un buono mensile di euro 1.000 alle persone con gravi disabilità, “erogato senza limite di reddito e finalizzato a compensare le prestazioni di assistenza assicurate dal caregiver familiare (auto soddisfacimento) e/o per acquistare le prestazioni da assistente personale” così la suddetta Delibera, Allegato “B”, punto (B1).
Le norme appena ricordate, in virtù del principio jura novit curia, non potevano né dovevano essere ignorate dalla Corte d’appello. L’averlo fatto, per contro, ha condotto ad una sovrastima del danno patrimoniale per l’assistenza domiciliare, e di conseguenza alla violazione dell’articolo 1223 c.c..
2.2.5. Fondata, altresì, è la censura concernente il criterio di liquidazione del danno patrimoniale futuro per spese di assistenza.
La Corte d’appello, infatti, dopo avere determinato il costo annuo dell’assistenza domiciliare di cui la vittima avrebbe avuto bisogno, l’ha moltiplicato per un numero di anni pari alla differenza tra la durata media della vita (78 anni) e l’età della vittima al momento del sinistro (40 anni).
Si tratta di un calcolo irrispettoso di alcune regole basilari della matematica finanziaria e, di conseguenza, degli articoli 1223 e 2056 c.c..
Quando la liquidazione d’un danno permanente avvenga a distanza di tempo dal momento in cui è insorto, la corretta stima di esso deve avvenire:
(a) sommando e rivalutando, avuto riguardo al momento della liquidazione, le spese già sostenute;
(b) capitalizzando, al momento della liquidazione, le spese che si dovranno ragionevolmente sostenere in futuro.
Dunque il primo errore commesso dalla Corte d’appello è consistito nel liquidare il danno, sette anni dopo il sinistro, come se esso fosse avvenuto illico et immediate: ovvero senza distinguere le poste già maturate (danno passato) da quelle ancora da maturare (danno futuro).
Il secondo e più grave errore commesso dalla Corte d’appello è consistito nel non considerare che il danno futuro è un danno non ancora prodottosi al momento della liquidazione. Sicché, condannandosi il debitore a pagare oggi una somma che la vittima perderà fra n anni, si arrecherebbe un pregiudizio al primo ed un vantaggio al secondo, in virtù della regola plus dat qui cito dat.
Per compensare il decalage temporale tra il momento di scadenza dell’obbligazione risarcitoria (oggi) e il momento di avveramento del danno, quando non si opti per la liquidazione in forma di rendita (articolo 2057 c.c.), sono possibili teoricamente due sistemi.
Il primo consiste nel sommare tutti i danni che la vittima patirà tra il momento della liquidazione e il momento futuro in cui il pregiudizio sarebbe comunque cessato (nel nostro caso, la morte naturale per vecchiaia), e moltiplicare il risultato per un saggio di sconto, al fine di tenere conto dell’anticipato pagamento, che farebbe arricchire la vittima del c.d. “montante di anticipazione”.
Il secondo criterio consiste nel moltiplicare il danno annuo patito dalla vittima (debitamente rivalutato all’epoca della liquidazione) per un “numero” che tenga già conto del montante di anticipazione. Questo “numero” è detto coefficiente di capitalizzazione, semplifica l’operazione di liquidazione consentendo un solo passaggio anziché due.
La Corte d’appello tuttavia non ha adottato ne’ l’uno, ne’ l’altro sistema, pervenendo così ad una sovrastima del danno anche sotto questo profilo, e dunque violando gli articoli 1223 e 2056 c.c..
2.3. (S) Seconda censura del 2 motivo di ricorso (OMISSIS) (spese per l’acquisto di macchinari e compensatio lucri cum damno).
La seconda censura del secondo motivo di ricorso della (OMISSIS) (pp. 46-50) contiene due diversi profili.
Col primo profilo la società ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia liquidato in euro 180.000 (al netto del concorso di colpa della vittima) il danno patrimoniale per acquisto di una vettura idonea, per la ristrutturazione dell’abitazione e per l’acquisto di macchinari fisioterapici e di ausilio dell’invalidità, senza che la vittima avesse fornito alcuna prova, senza motivare, e senza attualizzare gli importi liquidati per spese che sarebbero state affrontato nel futuro, come quelle per la sostituzione dei macchinari appena descritti.
Col secondo profilo la società ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha liquidato il danno senza tenere conto dell’indennizzo percepito dalla vittima in virtu’ di una polizza privata contro gli infortuni.
La prima di tali censure è fondata, la seconda inammissibile.
2.3.1. Per quanto concerne la prima censura, deve rilevarsi che (OMISSIS), nell’atto d’appello, si era doluto della sottostima della liquidazione del danno consistente nelle spese da sostenere per:
– l’acquisto di una autovettura adatta a sollevare e trasportare una sedia a rotelle;
– la ristrutturazione del proprio appartamento, per renderlo idoneo alle esigenze di un portatore di grave invalidità;
– l’acquisto di una “barella-doccia” e di un sollevatore;
– le cure fisioterapiche.
Il danneggiato aveva altresì stimato tali danni nella misura di Euro 169.000 circa, oltre 30.000 Euro l’anno per la fisioterapia.
Su tale motivo di appello la Corte meneghina ha così provveduto:
“la Corte d’appello ritiene meritevole di parziale accoglimento (…) il gravame (…).
In parziale riforma della sentenza di primo grado sul punto, si stima equo quantificare in Euro 180.000 (360.000 diviso 2, in ragione della corresponsabilità del danneggiato) il danno patrimoniale per spese per acquisto di autovettura idonea, altri attrezzi necessari in condizioni di paraplegia, modifiche architettoniche e cure fisioterapiche, considerata la necessità di sostituzione o adeguamento nel corso del tempo di tali presidi e ausili tecnici”.
Quella appena trascritta non è che un simulacro di motivazione. In essa infatti non e’ spiegato di quale vettura si discorra, quali siano gli “attrezzi necessari” cui la Corte d’appello ha fatto riferimento, quale ne sia il costo di mercato, ogni quanto tempo dovrebbero essere sostituiti, se e come si e’ tenuto conto dell’anticipazione del costo della sostituzione. Ma soprattutto resta imperscrutabile attraverso quali conteggi la Corte d’appello sia pervenuta a determinare l’importo in esame nella somma di euro 360.000. Un esempio quasi di scuola, dunque, di nullità della sentenza per totale assenza di motivazione.
2.3.2. La seconda censura è, invece, inammissibile.
L’eccezione di compensatio lucri cum damno, fondata sulla circostanza che la vittima aveva già percepito un indennizzo dal proprio assicuratore privato contro gli infortuni (eccezione che sarebbe stata fondata, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte: cfr. Sez. 3, Sentenza n. 13233 del 11/06/2014, Rv. 631753), non venne esaminata dal Tribunale, che liquidò il danno senza tenerne conto.
Che questa omissione dovesse interpretarsi come rigetto implicito ovvero come omessa pronuncia, in ogni caso la (OMISSIS) avrebbe dovuto impugnarla con appello incidentale, una volta che la vittima aveva censurato col proprio appello principale la stima del danno compiuta dal Tribunale.
La (OMISSIS), invece, non ha proposto sul punto appello incidentale, né ha indicato – ai fini dell’autosufficienza del proprio ricorso – se, quando ed in che termini l’abbia fatto. Il generico riferimento “a p. 36 dell’appello”, contenuto nell’illustrazione della censura qui in esame, è a tal riguardo del tutto generico, e comunque a p. 36 dell’atto d’appello non è affatto contenuto alcun appello incidentale, né per i termini ivi adottati, né per il senso generale desumibile da quell’atto.
2.4. (C) Terza censura del 2 motivo di ricorso (OMISSIS) (danno da mora).
Con la terza censura contenuta nel secondo motivo del proprio ricorso (pp. 50-54) la (OMISSIS) lamenta sia il vizio di omessa motivazione, sia quello di violazione di legge.
Deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel calcolare gli effetti della mora, perché ha posto a carico del debitore il pagamento degli interessi di mora anche sulle somme liquidate a titolo di risarcimento di danni futuri.
2.4.1. La censura è manifestamente infondata.
Per quanto già detto, del fatto che un danno sarà patito dalla vittima dell’illecito in un momento futuro rispetto a quello della liquidazione si deve tenere conto attraverso lo sconto matematico (pari, come noto, al rapporto tra il prodotto del capitale per il saggio di anticipazione, ed il tempo di anticipazione).
Una volta correttamente liquidato il danno futuro, tuttavia, il relativo importo è dovuto al creditore ex articolo 1219 c.c., dal giorno dell’illecito, e da quel giorno sono dovuti perciò gli interessi di mora. Futuro, infatti, è il danno, non l’obbligazione di risarcirlo, che è immediatamente esigibile: dunque della circostanza che un danno non si sia ancora verificato al momento della liquidazione si deve tenere conto nella aestimatio del capitale, non nel calcolo degli interessi di mora.
2.5. (D) Quarta censura del 2 motivo di ricorso (OMISSIS) (surroga dell’assicuratore sociale).
Con una quarta censura, anch’essa illustrata nel contesto del secondo motivo di ricorso (pp. 54-66) la (OMISSIS) lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente detratto dal credito risarcitorio spettante alla vittima solo una minima parte di quanto da essa ricevuto dall’Inail, e senza spiegare il criterio.
Deduce, al riguardo, sia il vizio di violazione di legge, sia quello di motivazione.
2.5.1. La censura è fondata.
Si legge a p. 19 della sentenza impugnata che l’Inail corrispose alla vittima la somma di Euro 919.287,94; che il Tribunale aveva detratto tale importo dal danno risarcibile, e che (OMISSIS) aveva impugnato tale statuizione, deducendo che si sarebbe dovuta “limitare la predetta detrazione soltanto ad alcune voci delle erogazioni Inail”.
Ciò premesso, la Corte d’appello ha accolto il gravame del danneggiato, osservando che “tale rilievo è corretto”, ed ha detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima la minor somma di Euro 244.943,49, spiegando che solo tale somma era stata versata dall’Inail a titolo di “indennizzo in capitale danno biologico”, e dunque solo per tale importo vi era “duplicazione di titolo”.
Così statuendo, la Corte d’appello è effettivamente incorsa nei due vizi denunciati dalla ricorrente.
Ricorre, in primo luogo, il vizio di violazione di legge, posto che nel sistema attuale l’Inail, nel caso di danno alla salute consistito in invalidità superiori al 16%, indennizza sia il danno biologico, sia il danno da incapacità di lavoro. Quando dunque l’Inail eroga una rendita all’assistito, una quota di tale rendita è destinata al ristoro del danno alla salute; e la parte restante è destinata all’indennizzo del danno patrimoniale.
Ciò è stabilito dal Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 13, comma 2, lettera (b), secondo cui “le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita (…) commisurata (…) alla retribuzione dell’assicurato (…) per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali”. L’ulteriore quota di rendita è calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall’Allegato 6 al Decreto Ministeriale 12 luglio 2000.
La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto innanzitutto distinguere il valore capitale della parte di rendita destinata al ristoro del danno biologico, da quello destinato al ristoro del danno patrimoniale, e quindi sottrarre i due valori, rispettivamente, dal credito risarcitorio per danno biologico e dal credito risarcitorio per danno patrimoniale da incapacità lavorativa.
Ricorre, tuttavia, anche il vizio di assenza totale di motivazione, posto che neanche il lettore più immaginifico sarebbe in grado di ricostruire attraverso quali alchimie matematiche la Corte d’appello sia pervenuta a stabilire la somma di Euro 244.943,49; da quale atto del processo l’abbia tratta, ovvero da quale presunzione semplice l’abbia desunta.
2.6. (E) Quinta censura del 2 motivo di ricorso (OMISSIS) (limite del massimale).
Con la quinta censura del secondo motivo di ricorso, la (OMISSIS) lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione di incapienza del massimale, pur avendo condannato la (OMISSIS) a pagare cifre complessivamente eccedenti il massimale.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento delle censure precedentemente esaminate: è infatti ovvio che nulla è possibile stabilire sulla capienza del massimale, senza previamente accertare la misura dell’obbligazione gravante sull’assicuratore.
- Il primo motivo del ricorso incidentale (OMISSIS).
3.1. Il primo motivo del ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS) svolge la medesima censura proposta dalla (OMISSIS) col primo motivo del suo ricorso: vale dunque quanto già esposto supra, al 1.2.
- Il secondo motivo del ricorso incidentale (OMISSIS).
3.1. Il motivo, formalmente unitario, contiene sette diverse censure.
Le prime quattro (pp. 34-63) sono del tutto sovrapponibili a quelle proposte dalla (OMISSIS), con le prime quattro censure del 2 motivo del suo ricorso. Esse restano percio’ assorbite dall’accoglimento del ricorso proposto dalla (OMISSIS), nei medesimi limiti e per le medesime ragioni sopra indicati.
3.2. Con la quinta censura del 2 motivo del proprio ricorso incidentale la (OMISSIS) lamenta il mancato esame della condanna della (OMISSIS), per male gestio propria, oltre il massimale.
La censura resta assorbita dall’accoglimento del 2 motivo del ricorso proposto dalla (OMISSIS). Spetterà, infatti, al giudice del rinvio rideterminare il quantum debeatur secondo i principi stabiliti nella presente sentenza, e solo all’esito potrà stabilirsi se, riscontrata l’incapienza del massimale, sussista altresì una responsabilità della (OMISSIS) per mala gestio.
3.3. La sesta e la settima censura contenute del 2 motivo del ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS) possono essere esaminate congiuntamente.
Con esse la ricorrente incidentale lamenta che, in virtu’ del contratto di assicurazione stipulato con la (OMISSIS), aveva diritto ad ottenere da quest’ultima la rifusione delle spese di resistenza (ovvero quelle sostenute per contrastare la pretesa del danneggiato), ai sensi dell’articolo 1917 c.c., comma 3.
Tali spese erano state pari a circa 52.000 Euro per il 1 grado, cui andavano aggiunte quelle di 2 grado (che la ricorrente non quantifica).
La Corte d’appello, invece, aveva liquidato soltanto in 8.500 euro circa le spese di 1 grado, mentre quelle di secondo grado sono state liquidate in misura “inferiore a quelle sostenute”.
3.4. Il motivo è manifestamente fondato.
Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato delle somme spese per contrastare la pretesa risarcitoria del terzo danneggiato è un naturale negotii (articolo 1917 c.c., comma 3).
Tale previsione, entro i limiti stabiliti dalla legge (ovvero il quarto del massimale), addossa all’assicuratore l’obbligo di rifondere all’assicurato le somme da questi pagate al proprio avvocato. Il relativo credito dell’assicurato va perciò accertato con i consueti criteri, così come si accerterebbe qualunque pregiudizio per il quale l’assicurato chieda al proprio assicuratore contro i danni di essere indennizzato: e dunque valutando in primo luogo se vi sia la prova del pagamento, in secondo luogo se esso sia avvenuto avventatamente, in violazione dell’obbligo di salvataggio comunque gravante sull’assicurato.
La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto esaminare e valutare le notulae depositate dalla (OMISSIS), eventualmente riducendole ex articolo 1227 c.c., comma 1 o 2, ma non poteva – nei rapporti tra assicurata ed assicuratore – prescindere da esse.
- Quadro di sintesi.
In considerazione di quanto esposto sin qui, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, la quale oltre a sanare le carenze motivazionali in cui è incorsa la sentenza impugnata, si atterrà altresì ai seguenti principi di diritto:
(a) la liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese sostenute per l’assistenza domiciliare a vantaggio di persona invalida presuppone l’accertamento che la relativa spesa sia stata effettivamente sostenuta; nulla, dunque, può essere liquidato per tale titolo a chi non dimostri di avere sostenuto alcuna spesa al riguardo.
(b) Nella liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese che la vittima di lesioni personali deve sostenere per l’assistenza domiciliare, il giudice deve detrarre dal credito risarcitorio sia i benefici spettanti alla vittima a titolo di indennità di accompagnamento (L. 12 giugno 1984, n. 222, articolo 5), sia i benefici ad essa spettanti in virtù della legislazione regionale in tema di assistenza domiciliare, legislazione che in virtù del principio jura novit curia il giudice deve applicare d’ufficio, se i presupposti di tale applicabilità risultino comunque dagli atti.
(c) Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, non può essere liquidato semplicemente moltiplicando la spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita; oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e quindi abbattendo il risultato in base ad coefficiente di anticipazione; od infine attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie.
- Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 c.p.c.:
(-) accoglie il 2 motivo del ricorso proposto dalla (OMISSIS), limitatamente ai punti contraddistinti dalle lettere A, B, D, nei limiti indicati in motivazione;
(-) accoglie il 2 motivo del ricorso proposto dalla (OMISSIS), limitatamente ai punti contraddistinti dalle lettere F e G, nei limiti indicati in motivazione;
(-) rigetta – ovvero dichiara assorbiti, secondo quanto esposto in motivazione – i restanti motivi di ricorso;
(-) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione;
(-) rimette al giudice di rinvio la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 18 gennaio 2016.
Depositato in cancelleria il 20 apr. 2016