Giurisprudenza

Danno non patrimoniale – Sentenza n. 3007/2009 del 15 dicembre 2009

Ente Giudicante: Tribunale civile di Alba Sezione Distaccata di Bra
Procedimento: Sentenza n. 3007/2009 del 15 dicembre 2009

Danno non patrimoniale, danno biologico, danno morale, presunzioni Tribunale Alba, sentenza del 15.12.2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ALBA

SEZIONE DISTACCATA DI BRA

in persona del giudice dott. Giorgio Morando

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 3007/2009 r.g. promossa da:
M.S., nato a Carmagnola il (omissis), elettivamente domiciliato in Carmagnola, Via D., presso lo studio dell’avv. Giulio Santinelli che lo rappresenta e difende come da mandato a margine del ricorso;

RICORRENTE

contro

Società Reale Mutua di Assicurazioni, in persona del legale rappresentante, in qualità di società designata dal “Fondo di garanzia per le vittime della strada” al risarcimento dei danni subiti dai soggetti coinvolti in sinistri stradali cagionati da veicoli non identificati, difesa dagli avv.ti Mortarotti e Di Caro, elettivamente domiciliata in Bra, Via S., presso lo studio di quest’ultimo, per procura in calce alla memoria difensiva

RESISTENTE

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso ex art. 414 cpc, depositato in data 12.1.2009, M.S. ha chiesto alla Società Reale Mutua di Assicurazioni il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti al sinistro stradale in cui rimase coinvolto in data 20.12.2005, riconducibile alla responsabilità di un soggetto non identificato, il quale invase la corsia su cui viaggiava il M.S., e provocò l’uscita di strada del veicolo da lui guidato.

Costituitasi in giudizio con memoria del 23.2.09, la resistente, non contestando la propria qualità di società designata dal “Fondo di garanzia per le vittime della strada” al risarcimento dei danni subiti dai soggetti coinvolti in sinistri stradali cagionati da veicoli non identificati, ai sensi dell’art. 283 del D.lgvo n. 209/2005, ha bensì contestato la pretesa del ricorrente, quanto all’an, ponendo in dubbio la ricostruzione dei fatti compiuta dal M.S., e riguardo il quantum, opponendosi alla liquidazione richiesta.

All’esito dell’istruttoria svolta si ritiene che le allegazioni del ricorrente, circa le modalità di verificazione del sinistro, abbiano avuto conferma.

Risulta decisiva, in particolare, la deposizione del testimone oculare Peretti Fabio, il quale si trovava a bordo del veicolo guidato da M.S. al momento dell’incidente.

Peretti ha dichiarato che il veicolo rimasto ignoto invase la corsia occupata dalla vettura in cui egli si trovava insieme a M.S..

Il teste, in particolare, ha dichiarato: “stavamo parlando quando abbiamo visto una luce davanti a noi che ci ha abbagliato. Per evitare l’impatto, il ricorrente ha sterzato bruscamente verso destra. La macchina ha colpito un cordolo e si è girata andando a colpire un albero sulla fiancata lato conducente. Pochi istanti prima dell’impatto io stavo parlando con la faccia rivolta verso il conducente, con la coda dell’occhio ho visto questi fari che abbagliavano ed allora mi sono girato e li ho visti davanti a me. Nello stesso momento il ricorrente mi diceva di tenermi perché stava per sterzare al fine di evitarlo. Non c’è stato nessun contatto fra le due macchine perché nel momento in cui le traiettorie avrebbero dovuto incrociarsi il M.S. ha sterzato bruscamente evitando l’ostacolo”.

In linea con tale ricostruzione, già di per sé precisa e coerente, vi sono le dichiarazioni rese in giudizio dal carabiniere che eseguì i rilievi planimetrici nel luogo del sinistro, P.M., il quale ha confermato l’assenza di un impatto, ed ha affermato che “i danni rilevati sono astrattamente compatibili rispetto ad una velocità conforme ai limiti vigenti, alla luce della mia esperienza personale”.

Tale elemento induce a ritenere l’improbabilità che il M.S. sia uscito di strada da solo, in assenza di un fattore causale esterno, costituito, invero, dall’invasione della propria corsia di marcia da parte di un altro veicolo (circostanza che, peraltro, il carabiniere ha affermato di aver sentito in caserma, secondo quanto dichiarato, nell’immediatezza dell’incidente, dai soggetti coinvolti).

Ritenuta, pertanto, la responsabilità del veicolo non identificato nella causazione del sinistro, e conseguentemente la responsabilità della resistente per i danni subiti da M.S., occorre accertare la sussistenza e l’entità dei danni medesimi, per poi procedere alla liquidazione.

Allo scopo, assume importanza l’espletata CTU medico legale, la quale ha accertato le lesioni subite dal ricorrente, fissando l’entità dei postumi permanenti nonché il periodo di invalidità temporanea.

In considerazione della domanda posta in ricorso, volta al riconoscimento dei danni “fisici, biologici, morali, esistenziali e materiali” subiti da M.S., pare opportuno, preliminarmente all’analisi della fattispecie de qua, compiere un rapido excursus in relazione agli orientamenti della giurisprudenza in tema di tipologia, natura e caratteristiche dei danni non patrimoniali risarcibili, evidenziando fin d’ora che, a fronte della molteplicità dei criteri utilizzati dalla giurisprudenza per tradurre in valori monetari il vulnus alla sfera personale, esulante dalla capacità reddituale, causato dall’evento lesivo, il Tribunale di Alba ha recentemente deciso di adottare, come criterio per liquidare i danni non patrimoniali, le nuove tabelle di Milano del 2009.

Pare opportuno iniziare dalle pronunce della Corte di Cassazione n. 8827 e 8828 del 2003, le quali hanno dato definitiva conferma al cosiddetto “sistema tripartito”, includendo nel danno non patrimoniale (risarcibile), inteso come “categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona”, tre distinte ed autonome “voci di danno”: il danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psico-fisica della persona, il danno morale (soggettivo), inteso come sofferenza interiore, di natura transitoria, causata dall’evento lesivo e, da ultimo, il “danno non patrimoniale derivante dalla lesione di un diritto inviolabile inerente alla persona, non avente natura economica e riconosciuto dalla Costituzione”, tutti ricompresi nell’ambito dell’art. 2059 c.c.

Sinteticamente, il primo consiste nella lesione del diritto alla salute, risalente alle note sentenze della Corte Costituzionale n. 88/1979 e n. 184/1986, che avevano confermato gli orientamenti della giurisprudenza di merito a partire dagli anni settanta, in seguito riconosciuto dal legislatore, nella Legge n. 57/01 che, all’art. 5, lo definisce come “la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale”, e nel Codice delle Assicurazioni Private (D.lgvo n. 209/2005) che, all’art. 138, dà analoga definizione: “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.

Unico requisito per riconoscere e liquidare tale danno, quindi, è l’avvenuta lesione alla persona, a livello fisico o psichico, purchè accertata a livello medico-legale.

Il danno morale soggettivo, invece, viene configurato come “sofferenza transitoria”, “patema d’animo”, subìto in conseguenza di un fatto che sia, astrattamente, riconducibile ad una fattispecie di reato, e può essere liquidato anche nei casi in cui non sussiste danno biologico (si veda, in proposito, Cass. Sez. Un. n. 2515/2002).

In tale danno, la cui base normativa risiede nell’art. 185 c.p., molti riconoscevano (e riconoscono) una componente sanzionatoria, in quanto la sua liquidazione era (ed è) strettamente legata alla configurazione, seppur astratta, di un reato.

Tuttavia, alla luce delle recenti teorie, dottrinali e giurisprudenziali (confermate dalle sentenze sopra citate), in tema di responsabilità civile (più inclini a valorizzare la concezione riparatoria dei danni), il danno morale soggettivo ha assunto una connotazione concreta, strettamente connessa alla persona lesa, consistente nel pregiudizio alla sfera interiore causato dall’evento lesivo.

Nonostante qualche opinione di diverso avviso, il danno morale non si riconosce automaticamente, ma va provato, anche se, secondo l’opinione maggioritaria, sono sufficienti le presunzioni.

La terza tipologia di danno riconosciuta dalle pronunce della Cassazione del 2003, distinta dalle prime due, consiste nel “danno non patrimoniale da lesione di diritti costituzionali”.

Come si evince dal tenore letterale, tali danni sono configurabili solo ed esclusivamente in presenza di lesioni di diritti della persona aventi rilievo costituzionale, ovvero riconosciuti, tutelati dalla Costituzione, come ad esempio il diritto allo studio (artt. 33-34 Cost.), oppure il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa (art. 19) e, chiaramente, devono essere provati, al fine della liquidazione.

Su quest’ultimo danno pare opportuno soffermarsi in quanto, a partire dalle pronunce della Cassazione del 2003, esso ha costituito un limite, o meglio ha sancito la fine, della categoria del cosiddetto “danno esistenziale”.

E’ necessario subito chiarire, onde evitare pericolosi equivoci, che con il termine di “danno esistenziale” si fa riferimento (in quanto cosè è stato definito dalla giurisprudenza che lo ha riconosciuto in passato) a quei pregiudizi, di svariata natura, ma comunque attinenti alla sfera dell’esistenza umana, che venivano riconosciuti in conseguenza di un fatto illecito.

Per fare alcuni esempi, è stato riconosciuto tale danno in conseguenza di un illegittimo protesto di una cambiale (Cass. n. 4881/01), di un indebita prestazione di lavoro in giorni festivi (Cass. n. 9009/01), dell’installazione di un lampione a  ridosso del proprio appartamento (Cass. n. 3284/08) ed in altri innumerevoli casi, quali lo stress o l’angoscia per la perdita dell’animale domestico, per l’interruzione del servizio di telefonia, per la mancata partecipazione ad un evento.

Inoltre, il danno esistenziale è stato riconosciuto nelle ipotesi in cui, a seguito dell’evento lesivo, al danneggiato fossero state precluse o limitate attività inerenti alla “vita di relazione ordinaria” (ovverosia riferibili alla generalità delle persone),  ad esempio fare passeggiate, andare a ballare, praticare sport saltuariamente.

Ebbene, già con le sentenze del 2003, la Cassazione ha sancito la non risarcibilità del danno esistenziale (come sopra inteso), facendo leva sulla mancanza, in casi del genere, di sufficiente gravità e peculiarità del pregiudizio.

Ponendo il limite della violazione di diritti costituzionali, la Suprema Corte ha inteso porre un freno a quell’orientamento che tendeva a risarcire, sotto la categoria di “danno esistenziale”, ogni lesione, anche minima, anche attinente ad aspetti  di esigua rilevanza, o comunque “ordinari” della sfera personale.

A seguito delle pronunce suddette, quindi, la giurisprudenza prevalente ha negato la risarcibilità dei danni non incidenti su interessi costituzionalmente garantiti.

Si è voluto partire dallo schema fissato dalle sentenze della Cassazione del 2003, in quanto si ritiene che esso abbia, ancora oggi, piena validità, pur a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 26972/08, la quale ha posto solo alcune  precisazioni, confermando, nella sostanza, quanto precedentemente stabilito.

Non risultano modificate, infatti, le figure del danno biologico e morale, e viene confermata la risarcibilità di ulteriori, diversi pregiudizi di natura non patrimoniale solo in presenza di una violazione di diritti costituzionale (ovverosia la terza categoria fissata dalle sentenze del 2003).

Si legge nella pronuncia delle Sezioni Unite: “palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione  concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità”.

In conclusione, quindi, le Sezioni Unite hanno confermato quanto stabilito dalla Corte nel 2003, senza alterare la tripartizione delle categorie sopra evidenziate, che restano autonome (pur nell’ambito di un’unitaria figura di “danno non  patrimoniale” fondato sull’art. 2059 c.c.), e che devono essere provate, anche con presunzioni, ai fini della liquidazione (salvo il danno biologico, che deve essere accertato sotto il profilo medico-legale).

Per concludere l’excursus relativo al profilo “teorico” della questione inerente la liquidazione dei danni non patrimoniali, che si ritiene essenziale per comprendere il profilo applicativo, si evidenzia che costantemente, nelle pronunce sia di  legittimità che di merito, è stata data grande importanza all’aspetto della “personalizzazione” della liquidazione (si vedano, in proposito: Cass. n. 28423/08, n. 7740/07, Trib. Milano, n. 2334/09).

Tale termine sta a significare che il giudice, nel valutare la sussistenza e la quantificazione dei danni, deve tenere conto delle circostanze del caso concreto, ovvero delle modalità di verificazione del fatto, dell’entità e natura del vulnus subìto  dalla persona, nonché delle sue condizioni soggettive, in modo tale da compiere una liquidazione il più possibile “adeguata” alla fattispecie.

L’aspetto della personalizzazione apre il campo alla problematica questione relativa ai criteri da adottare per la liquidazione “in concreto” dei danni non patrimoniali (si utilizza il plurale in quanto, nonostante le enunciazioni teoriche circa  l’unitarietà del danno non patrimoniale, è pacifico che, essendovi distinte ed autonome categorie di danno, a ciascuna di esse deve corrispondere un valore distinto).

Gli unici punti fermi, che si rinvengono nella giurisprudenza (confermati da Cass. n. 8827-8828/03 e Sez. Un. n. 26972/2008), riguardano, al di là del generale obbligo di motivazione, in merito alla sussistenza e quantificazione dei singoli  danni, la necessità di appurare l’assolvimento degli oneri probatori gravanti sulle parti, e di evitare duplicazioni risarcitorie.

D’altro canto, l’assenza di parametri certi a cui fare riferimento, fatta eccezione per le tabelle normative per il “risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, (pari o inferiori al nove per cento) derivanti da sinistri conseguenti alla  circolazione dei veicoli a motore e dei natanti”, di cui all’art. 139 Codice Assicurazioni, ha causato il proliferare di vari metodi (prevalentemente tabellari) di liquidazione, a discapito dell’uniformità.

Nello stesso Codice, peraltro, si fa riferimento (art. 138) ad una “specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica”, che tuttavia, ad oggi, non è stata ancora emanata.

Senza addentrarsi nella moltitudine dei criteri utilizzati dalla giurisprudenza per liquidare i danni non patrimoniali, pare opportuno limitarsi a descrivere quello relativo alle Tabelle di Milano del 2009, “accolto” dall’intestato Tribunale ed  utilizzato dallo scrivente nella liquidazione in oggetto, e coordinarlo con il sistema “teorico” sopra descritto.

Le nuove tabelle di Milano si caratterizzano, innanzitutto, per la liquidazione congiunta del danno biologico (permanente) e del danno morale, in quanto fissano dei valori “standard” (cosiddetti “punti danno non patrimoniale”) che esprimono  la liquidazione unitaria di entrambi i danni.

Come nelle tabelle precedenti, tali valori si ottengono dall’accostamento della percentuale di invalidità, riconosciuta a livello medico-legale, all’età del danneggiato (al momento della verificazione del danno).

In assenza di un criterio distintivo, che permetta di individuare la “quota” relativa al danno biologico e quella relativa al danno morale, appare chiaro che il criterio de quo “funziona” nelle fattispecie in cui il giudice accerti la sussistenza di  entrambi i danni.

In merito al riconoscimento dei danni biologici e morali nella misura “standard”, l’onere della prova risulta “affievolito”, in quanto, al di là del fatto che il danno biologico deriva “naturalmente” dall’accertamento medico-legale, il danno morale  si può provare per presunzioni, e spesso risulta insito nelle allegazioni di parte, che fanno riferimento alla gravità dell’offesa subita.

Discorso diverso deve farsi in merito alle cosiddette “percentuali di aumento”, riguardo le quali è necessario chiarire i presupposti di applicazione.

Secondo quanto indicato nel “documento introduttivo” alle tabelle, redatto dall’Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano, le percentuali di aumento si devono utilizzare “laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e  provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, onde consentire un’adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione, in particolare: sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza  soggettiva, ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori massimi in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti”.

Essendo, ovviamente, preclusa l’applicazione degli aumenti de quibus nei casi riconducibili nell’area del “vecchio” danno esistenziale (per i quali è stata definitivamente ritenuta la non risarcibilità, già a seguito delle sentenze della Cassazione  del 2003), resta inteso che le fattispecie in cui il giudice può applicare gli aumenti percentuali devono essere caratterizzate da eccezionalità, ovverosia dalla presenza di elementi o circostanze idonei a renderle, quanto a gravità delle  conseguenze subite dal soggetto, diverse dall’id quod plerumque accidit.

Tale interpretazione trova conferma nell’art. 138 del Codice delle Assicurazioni, in cui, al terzo comma, è previsto un analogo aumento (rispetto ai valori fissati dall’emananda tabella unica), nei casi in cui “la menomazione accertata incida in  maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali … con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”.

Trattandosi di aumenti percentuali che attengono al danno biologico o al danno morale (essendo, come detto poc’anzi, unitaria la liquidazione), è necessario che l’eccezionalità sia ricollegabile ai suddetti danni (alternativamente o  cumulativamente), ovverosia che riguardi specifici aspetti anatomo-funzionali o relazionali (strettamente connessi alla lesione permanente) oppure sia riferita alla sofferenza, transitoria, provata in occasione dell’evento lesivo (danno morale).

Volendo esemplificare, risulta evidente che un’identica lesione ad un braccio può avere effetti differenti a seconda del soggetto danneggiato: un campione di tennis, a cui la lesione preclude per sempre la possibilità di praticare lo sport che, per  usare una terminologia calzante, “costituisce motivo di vita”, subisce sicuramente un disagio “eccezionale” e maggiore rispetto ai casi ordinari, che giustifica una differenziazione in termini di liquidazione del danno.

Egualmente a dirsi per il soggetto che, a causa della lesione, non può più accudire il genitore invalido, che, fino ad allora, aveva assistito quotidianamente da solo.

Sul versante del danno morale, può farsi l’esempio del soggetto che subisce una ferita estremamente cruenta, che poi dà luogo ad una bassa percentuale di invalidità permanente: è possibile che, in un caso del genere, l’angoscia provata in  occasione dell’evento sia stata “eccezionale”, e quindi giustifichi una differenziazione in aumento della liquidazione.

Al di fuori di questi casi, che si contraddistinguono per la peculiarità e specificità, non vi è spazio per aumenti, in quanto le preclusioni, le difficoltà, i disagi “ordinari” (relativi cioè ad attività normalmente svolte dalla generalità delle persone)  conseguenti alla lesione subita, sono già considerati e compresi nella liquidazione standard, con un criterio che tiene conto, proporzionalmente, dell’incidenza sulla “vita di relazione” delle lesioni stesse.

Ciò si evince, secondo lo scrivente, dalla ratio esplicitata nel “documento di accompagnamento” alle Tabelle, nonché, per analogia, dall’art. 138, c. 2, lett. c) Cod. Ass., secondo cui “il valore economico del punto è funzione crescente della  percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi”.

In concreto, quindi, non ha diritto all’aumento il soggetto che, a seguito della lesione, alleghi di non poter più dedicarsi allo sport che praticava saltuariamente, a livello amatoriale, o fare passeggiate, o andare a ballare, in quanto attività  compiute ordinariamente dalla generalità delle persone, e proprio per questo già considerate e comprese nella liquidazione standard.

Analogo discorso va fatto in relazione al danno biologico temporaneo, per il quale le tabelle di Milano, prevedendo sempre una liquidazione congiunta al danno morale, stabiliscono una “forbice” di valori monetari (da un minimo di euro 88,00  ad un massimo di euro 132,00) per il risarcimento corrispondente ad un giorno di invalidità temporanea al 100%.

In sostanza, le tabelle di Milano suddividono il danno morale in due componenti, o meglio, due quote distinte, liquidate congiuntamente al danno biologico permanente ed a quello temporaneo.

Evidentemente, anche nella liquidazione del danno non patrimoniale temporaneo devono essere considerate le circostanze del caso concreto, nonché le particolari condizioni del danneggiato, onde consentire l’adeguamento del risarcimento  alla peculiarità della fattispecie in esame.

E’ opportuno, secondo lo scrivente, liquidare una somma corrispondente alla misura media prevista dalle tabelle nei casi in cui non risulta provata la sussistenza di circostanze tali da far ritenere la particolare tenuità o gravità della fattispecie.

Esaurita l’analisi dei presupposti per l’applicazione degli aumenti percentuali (e per la graduazione della liquidazione dei danni non patrimoniali temporanei), si ribadisce la necessità, a tale scopo, che sia raggiunta la piena prova di circostanze  o elementi idonei a “personalizzare” la liquidazione medesima.

Infine, quanto alla terza, autonoma, categoria “indicata” dalle pronunce della Cassazione citate in precedenza, ovverosia il “danno non patrimoniale da lesione di interesse costituzionale”, lo scrivente ritiene che, per la sua liquidazione, non  potendosi utilizzare le tabelle di Milano, esplicitamente riguardanti le diverse categorie del danno biologico e morale, si debba ricorrere al criterio equitativo, di cui all’art. 1226 c.c.

Venendo alla fattispecie in esame, a fronte delle richieste risarcitorie del ricorrente (inerenti ai danni “fisici, biologici, morali, esistenziali e materiali”), si ritiene provata la sussistenza del danno biologico (permanente e temporaneo), insieme al danno morale, nei termini di seguito descritti.

Quanto al danno biologico permanente (accertato a livello medico-legale) si ritiene congrua la misura del 39% di invalidità, avendo il CTU fissato un parametro oscillante tra il 38 ed il 40%, e l’INAIL la misura del 39%, con conseguente  riconoscimento del valore “standard” di euro 240.278,00 (avendo M.S. venticinque anni al momento dell’incidente) comprensivo del danno morale, provato per presunzioni, stante la gravità dell’evento lesivo (e la sua astratta riconducibilità  ad una fattispecie di reato).

Da tale somma dovrà essere decurtato l’importo, già riconosciuto dall’Inail a titolo di danno biologico, pari ad euro 100.105,77 (come risulta dal doc. 6 del ricorrente), di conseguenza la somma che la resistente sarà tenuta a corrispondere a M.S. a titolo di danno biologico permanente (congiuntamente al danno morale) risulta pari ad euro 140.172,23.

Nonostante la somma di euro 240.278,00 sia comprensiva del danno biologico e del danno morale, non vi sono dubbi circa il fatto che la “quota” relativa al danno biologico sia superiore al valore liquidato dall’Inail ( ciò si evince dal raffronto con le tabelle di Milano del 2008, in cui i valori erano riferiti al solo danno biologico) con conseguente correttezza della decurtazione integrale.

Non si ritiene di applicare, al caso in esame, alcun aumento percentuale, coerentemente rispetto a quanto sopra evidenziato.

In particolare, le allegazioni del ricorrente in merito agli effetti negativi sulla “vita di relazione”, derivanti dall’evento lesivo (quali la difficoltà nello scrivere, la diminuzione dell’attività sportiva, la difficoltà nel ballare), non risultano connotate da eccezionalità, o peculiarità tali da giustificare una “personalizzazione in aumento” rispetto al livello standard.

Quanto al danno non patrimoniale “temporaneo”, risulta dalla CTU che l’invalidità temporanea totale di M.S. fu di 140 giorni, quella parziale di 134 giorni, di cui 60 al 75% e 74 al 50%.

Riguardo i 140 giorni di invalidità totale, si evince dalla CTU che la situazione del M.S. fu particolarmente dolorosa, in quanto: restò in prognosi riservata per 35 giorni, fu sottoposto ad un intervento chirurgico in urgenza, ad una tracheotomia, gli furono applicati drenaggi pleurici e, dopo essere stato dimesso dall’ospedale, fu nuovamente ricoverato per l’insorgere di complicazioni.

Tali circostanze sono idonee, secondo lo scrivente, a far ritenere congrua l’applicazione di un valore superiore a quello medio di euro 110,00, e più precisamente la media tra il valore medio e quello massimo, pari ad euro 121,00.

Di conseguenza, la somma corrispondente al periodo di invalidità totale risulta di euro 16.940,00 (140 giorni x 121,00 euro).

Quanto ai giorni di invalidità parziale, non avendo il CTU evidenziato circostanze particolari, si ritiene congrua l’applicazione del valore medio, pari ad euro 110,00, con conseguente liquidazione di euro 4.950,00 per i 60 giorni di invalidità al 75% ed euro 4.070,00 per i 74 giorni di invalidità al 50%.

Non avendo il CTU indicato altre spese di diagnosi o cura, la somma complessiva pari al risarcimento dovuto al M.S. dalla resistente ammonta ad euro 166.132,23.

In aggiunta a tale somma (risultante da valori monetari relativi al 2009, quindi non soggetta a rivalutazione), dovranno essere corrisposti, dalla resistente, gli interessi compensativi (trattandosi di debito di valore), nella misura legale, calcolati nel seguente modo: la somma dovrà essere devalutata al momento della verificazione del danno, avvenuto il 20.12.2005, e su tale importo dovranno essere applicati gli interessi sulla somma via via rivalutata nel corso del tempo in ragione di  anno, fino alla data della sentenza.

Sulla somma risultante, che, in virtù della presente liquidazione giudiziale, costituisce oggetto di obbligazione di valuta, decorreranno gli interessi corrispettivi, dalla data della sentenza al saldo.

Infine, in virtù del principio della soccombenza, vanno poste a carico della resistente le spese di lite, liquidate come in dispositivo, insieme alle spese della CTU, nonché alle spese sostenute dal ricorrente per le consulenze di parte, di cui è stata fornita idonea documentazione.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, dichiara la resistente Società Reale Mutua di assicurazioni, corrente in Torino, Via C., in persona del legale rappresentante, obbligata a risarcire a M.S. i danni biologici e morali riportati nel sinistro per cui è causa, tenuto conto di quanto già riconosciuto dall’Inail, e conseguentemente condanna la resistente a corrispondere a M.S. la somma di euro di cui:

euro a titolo di danno (biologico e morale) da invalidità permanente, al netto dell’importo corrisposto dall’Inail per danno biologico;

euro a titolo di danno (biologico e morale) da invalidità temporanea.

Condanna la resistente a pagare a M.S. le spese di lite, che vengono liquidate in euro per esborsi, euro per diritti, euro per onorari, oltre accessori di legge, nonché le spese sostenute per le CTP, pari ad euro.

Pone infine le spese di CTU definitivamente a carico della resistente.

Bra, 1/12/2009-15/12/09

Il Giudice
Giorgio Morando